Una notiziola da niente. A Brindisi, le pale di operai che stavano lavorando alle condutture dell’acqua si sono imbattute in un paio di scheletri. Stavano lì da secoli, probabilmente – dicono le prime osservazioni degli esperti, subito richiamati dal ritrovamento – dal tardo Medioevo. Solo che non sono due scheletri qualsiasi: sono una mamma e un bambino. Meglio, una mamma abbracciata al suo bambino. Una mamma che abbraccia il suo bambino, come tutte le mamme del mondo; e che in questo abbraccio è rimasta consegnata all’eternità. Come scrive il sito di Repubblica di Bari che riporta la notizia: “Un abbraccio che sfida i secoli, come solo l’amore di una madre per il suo bambino può fare”.



E questa frase me ne richiama alla memoria un’altra, quasi uguale: “La Madonna con il bambino è l’umano nell’umano: sta in questo la sua immortalità”. È una frase de La Madonna sistina, un breve testo di Vasilij Grossman. È la primavera del 1955, e l’Unione Sovietica ha deciso di restituire alla Germania – alla DDR, la sua Germania, naturalmente – le tele che l’Armata Rossa aveva portato via dalla pinacoteca di Dresda dopo la guerra. Prima che i quadri tornino a Dresda, per novanta giorni vengono esposti a Mosca. E Grossman va a vederli. E lì ha una delle più grandi intuizioni della sua straordinaria vita. Perché capisce che quella donna che Raffaello ha ritratto è dappertutto: “era lei a calpestare scalza, leggera, la terra tremante di Treblinka, lei a percorrere il tragitto da dove il convoglio veniva scaricato fino alle camere a gas. Ha camminato con noi, con noi ha viaggiato per un mese e mezzo su un vagone cigolante, cercando i pidocchi fra i capelli soffici e sporchi del suo bambino. Ha vissuto con noi la collettivizzazione forzata. L’ho vista anche nel 1930 alla stazione di Konotop: si avvicinò al vagone di un rapido, terrea di sofferenza, e alzò i suoi occhi meravigliosi per dire senza voce, muovendo appena le labbra: ‘Pane…’”.



E così via: dovunque gli uomini soffrono, dovunque nel Novecento gli uomini si sono massacrati, si sono sterminati, lei e il suo bambino erano lì: “La nostra epoca guarda la Madonna Sistina e vi intuisce il suo destino. Ogni epoca fissa lo sguardo su questa donna con il bambino in braccio, e fra esseri umani di generazioni, popoli, razze e secoli diversi si instaura un senso di fratellanza dolce, commovente e doloroso insieme. L’uomo prende coscienza della propria croce e comprende di colpo il legame prodigioso fra le epoche, il legame di quanto è vivo oggi con ciò che vivo è stato e non lo è più, e con ciò che deve ancora esserlo”.



Lo so, lo capisco, è un po’ un’esagerazione, quantomeno, una forzatura, paragonare gli scheletri di Brindisi alla Madonna Sistina di Grossman. Ma il gesto è lo stesso. Il gesto di una donna che abbraccia suo figlio. Il gesto che ci dice che tutti siamo figli, che se siamo al mondo è perché qualcuno ci ha voluto, ci ha generato, ci ha allevato e protetto. Nel tardo medioevo e nel Cinquecento rinascimentale, nella grotta di Betlemme e nei campi del Novecento. E ai tempi nostri, in cui uno strano orgoglio pensa che di quell’abbraccio si possa fare a meno, che domani la scienza genererà e crescerà gli esseri umani in tutt’altro modo.

Allora l’abbraccio di Brindisi mi dice, mi grida questo, come la Madonna di Raffaello a Grossman: fate quel che volete, ma la vita umana, in fondo in fondo, sta tutta in questo abbraccio.