La storia che arriva dalla Gran Bretagna potrebbe essere il perfetto “spot” per convincere anche i più progressisti della potenziale devastazione umana e affettiva che può provocare l’esperienza di “utero in affitto”. La storia di Carole Horlock – definita la “madre surrogata più prolifica d’Inghilterra – potrebbe essere utilizzata per un dibattito pubblico, anche in Italia, sui potenziali rischi della maternità surrogata.



Potrebbe essere tutto questo, sì, ma forse occorre fermarsi un secondo e pensare al dolore e all’inquietudine mostrata dalla donna in diretta tv al popolare programma Uk “Good Morning Britain”, ripresa poi dal portale “BioEdge.org”. Prima di ritirarsi dal “mercato” dell’utero in affitto a 49 anni nel 2012, Carol ha gestato per 9 mesi e dato via sotto pagamento 13 bambini: il problema è che ad un certo punto ha scoperto assieme al marito di aver per errore dato via un proprio figlio. La storia è drammatica: nel giugno 2004 ha dato alla luce un bambino che credeva fosse stato concepito con il suo uovo e lo sperma del suo cliente. Dopo 6 settimane però, racconta la donna al programma tv, con il marito hanno fatto un test del DNA scoprendo che il neonato in “affitto” in realtà era il figlio naturale dei due coniugi.



IL FIGLIO PERDUTO, L’ERRORE E UNA POSSIBILE OCCASIONE

A quel punto la scelta dolorosa e straziante, davanti all’errore, è stata quella di mantenere l’adozione del bimbo di fatto rinunciando all’idea di tenerlo come figlio. «Per ognuno di noi si trattava del secondo matrimonio», racconta ancora Carole Horlock a “Good Morning Britain”, e avevano deciso di non avere figli: ma lo strazio comunque è rimasto e la loro scelta viene ricordata ancora oggi con le lacrime al viso per la donna inglese. «Questo ragazzino è stato creato accidentalmente con un atto d’amore tra me e il mio partner. Non lo sapevamo quando lo abbiamo consegnato. Ci siamo angosciati sul cosa fare, ma alla fine abbiamo deciso di lasciarlo tenere», racconta Carole ammettendo la vergogna e il dolore per quella decisione. «Come ho fatto a dare via il bambino che era mio? Molti dei bambini surrogati che ho dato via sono stati miei biologicamente. La differenza era che era anche di Paul. Non abbiamo mai smesso di pensare a lui. Viviamo nella speranza che sia consapevole di noi e, quando compirà 18 anni, vorrebbe vederci». Per qualche anno sono rimasti anche in contatto con la famiglia adottiva, salvo poi perdere del tutto ogni collegamento e legame. Al “Mirror” la stessa donna ha poi ammesso, «Sono in contatto con quasi tutti i miei bambini surrogati, ma non con lui. Con il passare degli anni pensiamo a lui tutto il tempo. Paul ha sviluppato un problema cardiaco e mi si spezzerebbe il cuore se non lo incontrasse mai». Un dolore, uno strazio e al tempo stesso un occasione, forse, all’orizzonte: da quell’inquietante «errore dopo atto d’amore» – come se una nuova vita fosse slegata da quel “atto d’amore” raccontato dalla donna – si passa alla volontà di riprendere contatto. Forse per chiedere perdono, forse per vergogna, o forse solo per poter rivedere quella vita che – nolente o volente, utero in affitto o no – è stata originata dal rapporto d’amore con il marito.

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