Dormire è importantissimo, soprattutto oltre una certa età, per mantenere una buona salute. Il 17 marzo è la Giornata Mondiale del Sonno, l’occasione migliore per ricordare quanto dormire bene e a lungo sia fondamentale per il nostro organismo, soprattutto con l’avanzare dell’età. La qualità del sonno infatti va a peggiorare man mano che passano gli anni poiché i livelli di melatonina, conosciuta appunto come ormone del sonno, calano sempre di più.
La cattiva qualità del riposo però può anche essere collegata al deterioramento cognitivo, in altre parole alle forme di demenza. Un recente studio pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine ha infatti individuato ulteriori prove della correlazione tra disturbi del sonno e possibile deterioramento cognitivo. Partendo dai dati prospettici del National Health and Aging Trends Study, gli esperti si sono concentrati su un campione di circa 6.300 over 65 e hanno notato come, in un periodo di 10 anni, la difficoltà ad addormentarsi entro 30 minuti e l’uso di farmaci ipnotici potessero essere associati a un rischio maggiore di sviluppare demenza. Ma perché il sonno ha questi effetti ed è così importante per il nostro benessere?
Come dormire meglio: per un buon sonno profondo “ideale è stare sul fianco”
A spiegare il ruolo cruciale del sonno e del riposo è Luigi Ferini Strambi, professore ordinario di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele e direttore del Centro di Medicina del Sonno all’Ospedale San Raffaele-Turro di Milano, sentito dal Corriere della Sera. “Recentemente è stato riportato che una durata del sonno di 6 ore o meno all’età di 50-60 anni è associata a un rischio maggiore di deterioramento cognitivo” illustra l’esperto, che aggiunge come “si sa che dormire poco non è una cosa positiva perché funziona meno il sistema glinfatico: è il nostro sistema “spazzino” che ripulisce dalle sostanze (come la beta amiloide) coinvolte nel processo di infiammazione sistemica correlata all’insonnia. Per aiutarlo a lavorare bene è necessario tanto sonno profondo”.
Non solo quanto si dorme, ma anche in che modo si dorme: “la posizione del corpo potrebbe essere cruciale per la protezione contro la neurodegenerazione: il sistema glinfatico funziona meno bene se si riposa in posizione supina, l’ideale è stare sul fianco” spiega Ferini Strambi. L’esperto sottolinea anche come “le linee guida indicano la terapia cognitivo-comportamentale specifica per l’insonnia come il trattamento più importante. Di solito si svolge in sedute singole e di gruppo e impegna una volta alla settimana per due mesi. La cura combinata, quella cognitivo-comportamentale più il trattamento farmacologico, va valutata in modo più approfondito solo dal medico” poiché “l’insonnia non è un’unica malattia, è un disturbo con molte facce perché ci sono diversi fenotipi di insonnia. Ignorare l’eterogeneità dei soggetti affetti da questo disturbo porta a diagnosi inadeguate e a trattamenti inefficaci”.