Noto per la battaglia condotta sul “caso Tamiflu”, Peter Doshi invoca trasparenza sui vaccini anti-Covid. Il noto ricercatore, insieme al Bmj, ha firmato un appello affinchè vengano resi pubblici i dati grezzi sui farmaci anti-virus. Ai microfoni de Il Fatto Quotidiano, l’esperto ha spiegato che si tratta dei «dati originali e dettagliati raccolti nel corso delle sperimentazioni cliniche e poi riportati, in forma più raffinata, nelle pubblicazioni e nei comunicati stampa delle case farmaceutiche». L’esperto, infatti, ha sottolineato che ciò che sappiamo sui vaccini viene da ricerche finanziate dalle stesse aziende produttrici…



«Sono dati che condizionano le nostre scelte di politiche sanitarie, non possiamo basarci solo sulla fiducia. Ci deve essere un modo per verificare in modo indipendente», ha evidenziato Peter Doshi, invocando trasparenza per tutti i tipi di dati, compresi quelli di farmaco-vigilanza nel periodo post-autorizzazione del vaccino. Il ricercatore ha messo in risalto che le evidenze andrebbero analizzate «da chi non ha alcun interesse finanziario nelle sperimentazioni».



LA BATTAGLIA DI PETER DOSHI

«Avere i dati grezzi dovrebbe essere una preoccupazione di tutti, anche del ministero della Salute. Ma la maggior parte dei governi si affida ai “grandi” enti regolatori come Fda o Ema», l’analisi di Peter Doshi al Fatto. Le agenzie regolatorie non sono in possesso di tutti i dati secondo il ricercatore, a suo avviso dovrebbero spiegare il motivo per cui nei test «non sia stata valutata la capacità dei vaccini di fermare il contagio»: «La verità è che, nella maggior parte dei casi, nessun Paese richiede questi dati». Peter Doshi ha poi puntato il dito verso i colleghi, rei di non aver chiesto fin dall’inizio i dati dei trial, soprattutto per quanto riguarda la terza dose: «Non c’è stata pressione per garantire che gli studi fornissero risposte solide. Se avessimo avuto i dati grezzi di Pfizer nell’aprile 2021, nel momento in cui Pfizer stessa li stava analizzando, avremmo saputo che il calo dell’efficacia nella copertura dal contagio era già visibile. Quindi avremmo avuto molto più tempo per correggere in corsa le strategie vaccinali, anziché aspettare le evidenze di Israele mesi dopo».

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