Roberto Mancini rompe il silenzio dopo la morte di Gianluca Vialli. Più di un amico, un fratello per il ct della Nazionale. La tristezza lo pervade, ma in un momento così doloroso preferisce raccontarlo in una chiave gioiosa. «A parte il dolore del momento, che è terribile, credo che Luca preferirebbe sentir parlare di sé con serenità, con allegria, perché lui era così», racconta a Libero. Lo descrive come un ragazzo allegro, perbene, di classe e intelligente. «Noi eravamo particolari», rivendica Mancini. Ha inciso anche la Sampdoria, perché erano tutti quasi coetanei. «Praticamente vivevamo in simbiosi, trascorrevamo la nostra vita, dalla mattina alla sera, sempre insieme. Abitavamo tutti vicini e qualcuno addirittura abitava nella stessa casa». Quindi, si andava all’allenamento insieme, si mangiava insieme: si era creata una famiglia, un rapporto forte.
«Ma con Gianluca si era instaurato un legame specialissimo». Il feeling tra loro era diverso, anche se avevano caratteri totalmente opposti. «Andavamo d’accordo probabilmente anche per questo», aggiunge ai microfoni di Hoara Borselli. Anche se Gianluca Vialli era giovane, si distingueva per la sua vena riflessiva, mentre lui era impulsivo. «Ho avuto una vera e propria ammirazione per lui. Lo ammiravo per il ragazzo che era». Dunque, Roberto Mancini e l’amico di sempre, insieme da una vita. «Abbiamo litigato solo una volta». Ci scherza anche su ricordandolo. Una lite per una stupidaggine, forse anche forzata visto che non litigavano mai. «Quella volta abbiamo voluto provare a litigare».
L’UNICA LITE, IL PRIMO INCONTRO E LA NAZIONALE
Durante un allenamento Gianluca Vialli “osò” chiamare Roberto Mancini per cognome, non Roby come sempre. L’attuale ct della Nazionale non la prese bene. «C’è stata una discussione e ricordo che non ci siamo parlati per un po’ di giorni, cinque o sei se non sbaglio». Proprio la maglia azzurra gli aiutò a far pace, perché durante un raduno fecero fare loro subito pace. Quella fu l’unica lite della loro vita, del resto non c’era neppure competizione tra loro. Resta un mistero la mancata convocazione di Sacchi per il Mondiale ’94. «Una vera spiegazione sinceramente non me la so dare. Noi eravamo in azzurro da tanti anni e a volte quando cambia il ct si preferisce cambiare il tipo di gioco. Sacchi faceva un tipo di gioco diverso da quello che facevamo noi alla Sampdoria. Però Luca era un giocatore formidabile», afferma Mancini a Libero. Ripensando all’amico che non c’è più, gli viene in mente il loro primo incontro. Mancini era in Serie A, Vialli in Serie B con la Cremonese. Poi si ritrovarono in treno per andare a Coverciano. Fu così che gli propose di raggiungerlo alla Sampdoria. «Lui si mise a ridere e cominciammo a parlare. Gli feci scoprire un po’ il mondo della Sampdoria e dopo qualche mese è stato comprato dalla Samp. Questa per me è l’immagine più bella». Dal calcio alla vita privata, con la consapevolezza che l’amico c’è sempre stato per lui. «E lo ha fatto con l’affetto, con quell’amore che si crea tra fratelli. Per me è stato un punto di riferimento fondamentale». Nell’intervista confida di aver voluto Gianluca Vialli come padrino di battesimo del figlio Filippo, proprio per rendere l’idea del legame tra loro.
DA WEMBLEY… A WEMBLEY: QUELL’ABBRACCIO…
Ma Roberto Mancini ricorda anche il momento in cui si sono separati, quando Gianluca Vialli fu venduto dalla Sampdoria alla Juventus dopo la finale di Coppa dei Campioni persa a Wembley contro il Barcellona. Si ritrovarono nel ristorante dove andavano spesso e si resero conto di non essere più ragazzini. «A un certo punto scoppiammo tutti a piangere perché capimmo che stava iniziando un’altra era, un’altra epoca per tutti noi». Infatti, le loro strade calcistiche si sono divise, ma l’amicizia e l’amore non sono mai finiti. Si sono poi ritrovati in Nazionale per l’Europeo, nel quale Vialli ha rappresentato una figura di riferimento per i giovani. «A me ha aiutato tantissimo. È stato fondamentale, determinante. Lo è stato per tutto lo staff. Luca aveva un carisma straordinario ed è il motivo per cui tutti i giocatori della Nazionale e non solo sono affezionati a lui». Proprio Vialli aveva chiamato quando gli fu proposto di allenare la Nazionale, chiedendogli un consiglio. Lui gli disse: «Accetta immediatamente, diventare il ct della Nazionale è come diventare il Presidente del Consiglio del calcio. Rappresenti la Nazione». Si arriva poi a quell’abbraccio, immagine forte, simbolo. Lì avevano perso trent’anni prima la finale di Coppa dei Campioni con la Sampdoria, lì hanno trovato insieme il riscatto. «Credo che Luca in quell’abbraccio ha messo tutto quello che aveva e quello che gli rimaneva. C’era la gioia ma è chiaro che c’era anche la battaglia che stava combattendo».
“MALATTIA DIFFICILE DA SCONFIGGERE…”
Il ct della Nazionale si dice sicuro che quei giorni siano serviti all’amico per vivere bene, a dargli una gioia meritata. Ma il momento resta difficile: nel giro di 20 giorni Roberto Mancini ha perso Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli. «Io le confido che fino all’ultimo ho sperato in un miracolo. Mi rendo però conto che le due malattie che li hanno colpiti erano veramente difficili da sconfiggere». Purtroppo la malattia per entrambi ha avuto la meglio, anche se hanno fatto di tutto per superarla. Mancini dal canto suo non li ha mai abbandonati e a Libero spiega di sperare che ora siano insieme lassù, con Mantovani e Boskov. Il ritorno in Nazionale, di fatto, non sarà più lo stesso per Mancini senza l’amico fraterno. «Io ho una sola, unica, grande certezza, che Luca sarà lì con noi, sarà sempre con noi perché la sua impronta rimarrà indelebile». Mancini chiude poi l’intervista mandando un abbraccio alla famiglia di Vialli, la mamma Maria Teresa, il papà Gianfranco, la sorella Mila, i fratelli Nino, Maffo e Marco, la moglie Catherine e le figlie Sofia e Olivia. «Un bacio grande».