Si rispondono per le rime Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, e Vito Mancuso, teologo da molto tempo in rotta con il pensiero e la tradizione della Chiesa. L’oggetto del contendere è la maratona di preghiera promossa dal Papa per il mese di maggio e affidata al Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione che l’ha trasformata in un evento capace di coinvolgere trenta santuari mariani italiani per chiedere una sola cosa: la fine della pandemia.
Ed è qui che interviene Mancuso, giudicando l’iniziativa legittima, ma in contrasto con la sensibilità contemporanea che sarebbe poco disposta a mendicare un dono da una divinità onnipotente. Gli fa eco Avvenire, con un corsivo pubblicato online in cui si evidenzia che nella preghiera non c’è alcun mercanteggiamento, ma solo il cuore di un Figlio che si apre alla misericordia del Padre.
Fa certamente effetto leggere di un dibattito sulla preghiera nel XXI secolo, ma certamente è possibile riconoscere in quel dibattito l’occasione per riprendere i fili della pratica religiosa per antonomasia. Pregare è anzitutto un gesto con cui l’uomo si rivolge ad un Altro, un gesto che rompe tutta la solitudine di quel che proviamo e di quel che pensiamo per esprimere – con le nostre povere parole – un bisogno, una domanda, una necessità.
Dio ovviamente non è un mago, ma cerca da sempre un dialogo con Te. La prima cosa che Lo sorprende non è ciò che chiedi, ma che Tu stia dinnanzi a Lui, che Tu stesso sia ciò che chiedi. Quando si chiede qualcosa, il primo miracolo non è la sua realizzazione, ma il rimettersi di fronte ad un Tu. Questo ritornare “a casa” cambia la realtà, cambia chi chiede, apre gli occhi di chi domanda, al punto tale da intuire qual è il nostro vero bisogno. Pregando io ritrovo Me, ma non un Me finito – che gestisce la propria interiorità – bensì un Me che ha bisogno di Te. Per questo Dio Ti chiedo di guarire la mia mamma, mio figlio, il mio amico: per questo Ti chiedo il miracolo, perché ho il terrore che, se questo miracolo non accadrà, la mia vita sarà finita, nella mia esistenza non ci sarà più ciò che oggi – mentre sta per finire – mi sembra tutto. Quando piango e mi metto in ginocchio a chiederTi una Grazia, io ho il terrore, Signore, che dalla mia vita possa scomparire un bene, un amore, che possa sparire Tu.
La preghiera riporta alla luce il mio vero bisogno, che non è neppure quello che mi serve, ma sei Tu, la Tua presenza, il Tuo amore che mi cambia e mi apre gli occhi a riconoscere i segni di una Resurrezione – di una vittoria – che è tutto ciò che aspetto e che è l’unico miracolo di cui ho bisogno.
Misteriosamente questo stare di fronte a Te inizia a toccare tutto, a invadere tutto, a contendere palmo a palmo territorio al nulla nel quale viviamo fino ad incrociare le forze di un amico che lotta, di una moglie che si spegne, di un figlio che mi saluta. È in quell’istante che può accadere l’impensabile: che quel rapporto che è stato riannodato tra me e Te, o Signore, sia così potente da strappare da un destino segnato anche il dolore che mi ha riportato dinnanzi a Te.
Il Papa non ci chiede di rivolgerci ad un Dio cocciuto e testardo per mercanteggiare con Lui ciò di cui abbiamo bisogno. Il Papa ci chiede di rientrare in un rapporto così vero con il Tu della vita da trasformare il nostro sguardo su questo tempo, instaurando con il Mistero un’amicizia così radicale che ci renda consapevoli di doni e fatti nuovi, una relazione nella quale tutto – anche il Virus – possa essere trascinato.
Pregare non è dunque chiedere ciò che ci manca nel nostro schema di perfezione, ma rimettersi in cammino su una strada da troppo tempo dimenticata. Quella che porta a me, quella che porta a Te, mio Signore, e che mi fa gustare la vita con occhi nuovi, con una domanda così imponente da trasformare ogni cosa – tutto – in un dialogo, in un sospiro segreto, in un Amore così grande da poter toccare tutto. Anche la morte. E richiamarla indietro affinché non si porti via ciò che sembrava esserle ormai destinato: mio padre, mia sorella, la mia amica, tutto… Altro che mercanteggiamento!
Quella della preghiera è un’avventura affinché io possa imparare a richiedere me, a chiedere che io possa essere generato, dentro ogni cosa, libero da ogni male e da ogni dolore. Di nuovo lieto, misteriosamente, nella casa degli sguardi, la casa del Padre.
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