Non una, ma con ben due rinvii pregiudiziali alla Corte Ue la Consulta rimanda a Bruxelles la decisione in merito a quanto un Paese membro può rifiutarsi di dare esecuzione ad un mandato di arresto europeo.
La Corte Costituzionale ha proposto nella seduta del 18 novembre due distinti rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia Ue – con le ordinanze numero 216 e 217 – depositati dal redattore Francesco Viganò: spetta dunque alla Corte di Giustizi dell’Unione Europea «stabilire in quali casi – oltre quelli previsti dalla legge nazionale e dalla decisione quadro 2002/584/GAI – l’autorità giudiziaria italiana possa rifiutarsi di dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo». Nel primo caso, si tratta di una decisione della Corte d’Appello di Milano circa l’esecuzione di un mandato di arresto europeo europeo emesso dal Tribunale di Zara nei confronti di un cittadino italiano: si voleva fosse processato in Croazia per il reato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti. Nel secondo caso invece era la Romania ad aver chiesto la consegna di un cittadino non comunitario, residente in Italia, per una condanna da scontare di 5 anni di detenzione.
COSA HA DECISO LA CONSULTA SUL MANDATO D’ARRESTO UE
Ebbene, la Consulta ha normato in entrambe le ordinanze la richiesta alla Corte di Giustizia Ue la giurisdizione sul permettere il mandato d’arresto o se seguire la decisione italiana di non dare esecuzione allo stesso. Nel caso tra Milano e Zara, da una perizia medica disposta dalla Corte d’appello «l’imputato era risultato affetto da una patologia psichica cronica e di durata indeterminabile, incompatibile con la detenzione in carcere. Poiché la legge italiana sul mandato di arresto europeo non prevede che l’autorità giudiziaria italiana possa rifiutare la consegna in una simile ipotesi, la Corte d’appello aveva chiesto alla Consulta di dichiarare l’illegittimità costituzionale della disciplina italiana, sostenendone tra l’altro il contrasto con il diritto alla salute, tutelato dagli articoli 2 e 32 della Costituzione». I dubbi sulla compatibilità della legge nazionale, spiegano i giudizi italiani, «non possono investire anche la stessa disciplina della decisione quadro». Rientra in sostanza nel diritto comunitario europeo «“stabilire gli standard di tutela dei diritti fondamentali al cui rispetto sono subordinate la legittimità della disciplina del mandato di arresto europeo e la sua concreta esecuzione a livello nazionale”. Ogni diversa soluzione pregiudicherebbe infatti, come più volte affermato dalla Corte di giustizia, il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione». Anche nel caso Italia-Romania, la Corte d’Appello aveva chiamato in causa la Consulta affinché dichiarasse l’illegittimità costituzionale della legge nazionale sul mandato d’arresto europeo, «nella parte in cui non prevede la possibilità di rifiutare la consegna di un cittadino di Stato terzo che abbia residenza legittima ed effettiva nel nostro Paese, subordinatamente all’impegno dello Stato italiano a eseguire in Italia la pena inflittagli». La Corte ha preso infine atto il rifiuto della consegna possa essere disposto «solo in favore di un cittadino italiano o di un cittadino di altro Stato membro residente legittimamente ed effettivamente in Italia da almeno cinque anni, mentre nulla prevede nei confronti degli stranieri non UE».