Manfredi Borsellino, uno dei tre figli di Paolo, il magistrato assassinato dalla mafia il 19 luglio di 27 anni fa, è oggi un ispettore di polizia. Del padre ha ereditato l’onestà, l’amore per la giustizia. Intervenuto qualche tempo fa nel corso della presentazione a Palermo del libro del regista Ruggero Cappuccio “Essendo Stato” dedicato appunto alla figura del padre, ha parlato di lui in questi termini:” Io e le mie sorelle continuiamo a vivere come se mio padre fosse ancora accanto a noi, anche se ci manca tantissimo. Era una persona assolutamente normale anche se la vita lo ha portato a essere quel giudice che mai pensava di poter essere. L’evento che gli cambiò la vita fu l’uccisione del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, con il quale aveva un rapporto non solo professionale ma anche umano molto intenso”. Parlando delle dichiarazioni rese da Paolo Borsellino al Csm il 31 luglio del 1988, quando il padre venne chiamato a difendersi per avere denunciato in un’intervista lo smantellamento del pool antimafia, come riportato dall’Ansa, Manfredi ha chiosato:”Oggi col senno di poi dico che è stato un bene che mio padre sia stato chiamato a difendersi davanti al Csm, perché, sia pure inconsapevolmente, ci ha lasciato una testimonianza che diversamente non avremmo avuto”.



MANFREDI BORSELLINO E LA SPLENDIDA LETTERA AL PADRE

Per capire il punto di vista di Manfredi Borsellino nelle vicende di Paolo Borsellino è giusto utilizzare le sue parole. Quelle usate in una splendida lettera al padre:”Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accanto mentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardente allestita all’interno del Palazzo di Giustizia. Non potrò mai dimenticare che quel giorno piangevo la scomparsa di un collega ed amico fraterno di mio padre ma in realtà è come se con largo anticipo stessi già piangendo la sua. La mattina del 19 luglio, una domenica, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all’orario in cui solitamente si alzava mio padre che si alzava ogni giorno alle 5 del mattino per “fottere” il mondo con due ore di anticipo. (…) Dopo mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l’eccidio) e l’agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina. Mia madre lo salutò sull’uscio, io l’accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l’appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii. Ho realizzato che mio padre non c’era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appreso dell’attentato dalla radio. Sono salito sulla moto di un amico d’infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D’Amelio”. Poi la conclusione:”Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è si cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza “farci largo” con il nostro cognome, divenuto “pesante” in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo “montati la testa”, rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l’onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra. (…) Caro papà, ogni sera prima di addormentarmi ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere”. Clicca qui per la lettera integrale con la splendida interpretazione di Pierfrancesco Favino. 

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