Nella giornata di ieri si è tenuta una manifestazione davanti alla sede Rai di Napoli, durante la quale non sono mancati degli scontri fra gli stessi manifestanti e le forze dell’ordine. Il bilancio, come riferisce Rai News, è di dieci feriti lievi, cinque per parte. L’iniziativa di protesta è stata organizzata contro il documento di Roberto Sergio, amministratore delegato di viale Mazzini, letto da Mara Venier in occasione di Domenica In. Un gesto susseguente la presa di posizione dell’ambasciatore israeliano nei confronti dello “stop al genocidio” chiesto dal rapper Ghali durante l’ultimo Festival di Sanremo.
L’iniziativa, precisa ancora l’Ansa, sarebbe dovuta essere pacifica ma quando i manifestanti (circa 200 in totale), hanno provato ad affiggere uno striscione sui cancelli della Rai, è scoppiato il caos. La 45enne Mimì Ercolano, sindacalista del Si-Cobas, ha riportato una ferita alla testa, ripresa con il volto coperto di sangue, e foto che sono divenute virale sul web. “Un gran mal di testa e cinque giorni di prognosi, ma sono pronta a scendere di nuovo in piazza. Eravamo armati solo di bandiere ma siamo stati manganellati, una reazione violenta e spropositata che la dice lunga sul nuovo stile delle questure verso le manifestazioni di piazza”, ha commentato la stessa.
MANIFESTAZIONE ALLA SEDE RAI DI NAPOLI CONTRO COMUNICATO MARA VENIER: LA NOTA DEI MANIFESTANTI
Ferito anche un fotoreporter al sopracciglio, mentre i poliziotti i feriti hanno avuto fra i dieci e i venti giorni di prognosi. “La pressione esercitata dai manifestanti sui poliziotti ha schiacciato i reparti inquadrati verso la recinzione della sede Rai e ciò ha determinato una reazione di alleggerimento che ha chiaramente impedito l’interlocuzione con i manifestanti circa le loro reali intenzioni”, questo quanto si legge in una nota diffusa dalla questura di Napoli.
Uno degli esponenti della Rete pro Palestina, che ieri ha manifestato davanti alla sede Rai di Napoli, ha fatto sapere: “Pretendiamo – dicono gli esponenti della Rete pro Palestina – una televisione pubblica che non minacci la libertà di parola, che non censuri e non neghi un genocidio in atto: oltre 100.000 tra uccisi e feriti gravi, di cui il 70% donne e bambini, come ha evidenziato la Corte Internazionale di Giustizia”.