Esistono piazze che ti spiazzano e altre che invece ti orientano. Ci sono piazze di ogni genere e natura: piazze che contestano, che protestano, che esultano, che compiangono. Piazze che salutano un futuro che sarà sempre radioso e generoso di benessere, altre che preparano un domani uguale all’ieri. Perché in politica non tutte le piazze sono uguali.



Quella del 7 ottobre riempita dalla Cgil, ad esempio, non è stata quella del Pd dell’11 novembre. Erano piene? Vuote? Abbastanza piene o non troppo vuote? Ore di trasmissioni, dibattiti, discussioni sul vuoto mescolato al nulla: tanto quel che importa è la pubblicità (e lo share che te la garantisce). Quanto tempo e fiato sprecati per (non) sapere se la gente ha preferito correre al richiamo di Landini oppure a quello di Schlein o alle scenette del redivivo Conte pronto a fare il prezzemolo pur di tornare al potere. In ogni caso si deve notare che le piazze dello sciopero generale di settimana scorsa erano ben diverse da quelle dei partiti. Non c’è che dire: sto’ Governo ha risolto pochi problemi, beh diciamo pochini vah, ma ha riempito le piazze. Potremmo dire, con una battutaccia, che se non altro è stato capace di suscitare un vero Movimento Sociale.



Ma torniamo a noi perché ci incuriosisce ragionare su un altro tema e un’altra piazza, quella che domani sarà riempita dalla Cisl.

Non tutte le piazze sono uguali dicevamo. Prendiamo ad esempio quelle di Cgil e Pd: nella prima accanto agli iscritti, pensionati in primis, c’era il variegato e variopinto mondo della sinistra sociale. Molte bandiere, molto colore. Slogan vecchiotti, prospettive così così. E non dimentichiamo la Uil che era lì anche se sembrava la figlia della serva imbucata al ballo delle debuttanti.

Più spenta la seconda piazza: il Pd senza altre bandiere che le sue per evitare confusioni. O forse per evitarsi imbarazzanti scelte e risposte confuse. La piazza ha palesato la fatica che si fa a tener insieme anime diverse, confliggenti se non si ha abbastanza carisma e soprattutto se le idee sono rare e disposte in ordine sparso.



Sì, ma sabato 25?

Secondo gli annunci Cisl sarà una giornata di mobilitazione per incalzare Governo e Parlamento sul miglioramento della Legge di bilancio, per uno sviluppo pienamente partecipato dalle parti sociali. Dopo il sindacato di lotta e scioperom secondo via Po ci vuole un sindacato “responsabile, autonomo, pragmatico, intransigente”. Il punto che ci interessa ora non è tanto come si concilia l’essere responsabili con l’essere intransigenti, quanto invece il modello di piazza che si cela dietro queste affermazioni.

Se uno guarda i contenuti della manifestazione non ci trova moltissime differenze con quelle precedenti: se si esclude la manovra economica in parte emendata anche grazie agli interventi cislini, le criticità riguardano le pensioni, la sanità, l’istruzione, gli enti locali, più strumenti contro la povertà, il sostegno della disabilità e della non autosufficienza, l’individuazione di politiche di crescita e di coesione, la piena attuazione del Pnrr, le riforme, il rinnovo dei contratti pubblici e privati, un nuovo patto sociale, la difesa e il riscatto del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati, una nuova politica dei redditi; il rilancio degli investimenti pubblici e privati, il recupero di produttività, una riforma fiscale autenticamente redistributiva; il cambiamento della Legge Fornero, le politiche attive, l’azzeramento dei morti sul lavoro; una nuova visione di politica industriale ed energetica, lo sblocco delle infrastrutture, la ripartenza del Sud; la valorizzazione della contrattazione e una più forte partecipazione dei lavoratori alle scelte e ai profitti delle imprese.

Diciamo che se si esclude un intervento per assicurare che la Roma vinca il campionato di calcio il resto è incluso. Tanta roba, probabilmente troppa roba forse per paura di lasciar fuori qualcosa, forse per timore di essere accusati di disinteresse, forse per un riflesso condizionato di quando il sindacato confederale aveva voce in capitolo su tutto. Sta di fatto che la sensazione, no meglio la speranza, è che domani si veda ancora un altro tipo di piazza, diversa da quelle fin qui elencate.

La nostra impressione, infatti, è che si stia giocando una partita in cui i contenuti abbiano poca rilevanza. Intendiamoci: tutti vorrebbero risolvere i problemi, perché compito del Governo è/sarebbe questo, e invece il compito delle opposizioni è/sarebbe di suggerire al Governo cosa fare e aiutarlo, nel senso non di sostenerlo, bensì di presentare proposte e posizioni che consentano al Governo stesso medesimo di non danneggiare il Paese.

Ma in questo “tutti” come ci stanno i sindacati, soprattutto quelli confederali che sono maggioritari e hanno quindi una più notevole responsabilità, e le relative piazze?

Il sindacato come si piazza (verbo non sostantivo, neh), in un quadro generale quale quello odierno in cui la politica si è consegnata ai populismi? Perché se l’attuale Governo a noi pare populista non vi è dubbio che l’opposizione lo sia, dacché è impegnata soprattutto a inseguire i cuoricini di TikTok o i consensi di La7 più che a stare, cioè a riflettere, sul merito delle questioni. A una narrazione si oppone non un’analisi, un approfondimento, un’esposizione dei molteplici aspetti di un problema, ma una contronarrazione altrettanto vera a metà, e quindi falsa.

Magari ci sbagliamo. Magari ci sbagliassimo!

A ogni modo, quale la differenza tra politica e populismo? La politica imposta e risolve le questioni col tempo, gradualmente perché in fondo anche Dio ci ha messo del tempo a creare il mondo. Non si cura dell’istante, ma vede oltre. Il populismo si inchina alle narrazioni, alle emozioni, agli emoticon, ai cuoricini su Instagram e affini. Il populismo non va mai contro un comune sentire che normalmente corrisponde al sentimento, cioè al fegato invece che al cervello. Il populismo per esistere ha bisogno del consenso, la politica ha bisogno del pensiero per conquistare il consenso. Il populismo semplifica problemi complessi risolvendo tutto con formule general generiche che poi non funzionano quasi mai (vedi l’elenco infinito delle decisioni meloniane finite tra le norme “da revisionare”), mentre la politica riflette e ragiona.

E dunque?

E dunque in quest’epoca di populismo sempre identico e uguale, in cui il popolo protesta per il pane e, manzonianamente, distrugge i forni dove si cuociono le pagnotte, ci permettiamo di chiedere che la piazza di domani si distingua per razionalità, riformismi, proposte e discussioni.

L’Italia ha bisogno di piazze che ragionino, indicando a chi governa non soluzioni banali (ad esempio: si taglino le tasse per far sì che si paghino le tasse o, all’opposto, si distribuiscano soldi a tutti recuperandoli dall’evasione), ma soluzioni vere. Politica è saper attraversare il deserto dei consensi fidando sulla forza del pensiero e delle idee.

Da un sindacato che ha aspettato pazientemente oltre 70 anni prima che arrivasse il momento giusto per sfidare Governo e parti sociali sul tema della partecipazione dei lavoratori alla governance delle imprese, e che ha scelto proprio questi mesi per far sbocciare una delle sue radici costitutive, non ci attendiamo un fumoso pieno di slogan vuoti e inutili perché ripetitivi e fuori tempo, bensì un saporito e sugoso arrosto di ragioni della politica e di gelosa custodia e trasmissione del valore del bene comune. Sarebbe (sarà) una bella lezione per tutte le piazze e un bel viatico per il futuro dei nostri figli: perché vorrebbe dire che il sindacato avrà ancora un ruolo.

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