Se la politica (quella vera) fosse un gioco di scacchi, quei pochi che ancora la seguono dovrebbero dare atto a Giorgia Meloni di aver fatto un paio di mosse vincenti con la sua ampia citazione del Manifesto di Ventotene durante il dibattito alla Camera di mercoledì sul Consiglio europeo di questa settimana.
La premier è riuscita a sviare l’attenzione sulle diversità di opinioni circa il riarmo europeo all’interno della propria maggioranza ed ha portato la sinistra – che si è comportata come il toro quando gli si agita davanti un drappo rosso – ad una reazione rabbiosa ma illogica, almeno per i pochi che il Manifesto di Ventotene lo hanno letto davvero.
La Meloni ha quindi mostrato a tutte le persone in buona fede come sia forte l’ideologia a sinistra: il Manifesto è forse diventato un mito, ma da quel documento nulla di concreto è nato in Europa, né poteva nascere. Perché i suoi “padri fondatori” – da Adenauer a De Gasperi, da Schuman a Spaak – tutto erano tranne che estremisti di sinistra come Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, alla ricerca di un’Europa federale guidata da un’élite (perché “il popolo è ancora immaturo”) che governasse con un sistema socialista rivoluzionario (anzi di “dittatura rivoluzionaria”) come quello ipotizzato nel Manifesto.
Leggere che ora il Pd organizzerà manifestazioni e perfino una scampagnata sull’isola per rendere omaggio agli allora confinati e quasi “riconsacrarla” assume i contorni del paradosso, salvo ammettere che quel partito faccia oggi sue anche quelle tesi libertarie e antidemocratiche espresse nel documento.
Il problema è che ormai la Schlein non può più fare l’ennesima marcia indietro, e allora bisogna far finta di trasformare la gazzarra alla Camera in un’impetuosa nuova ondata di antifascismo militante, nel disinteresse – va pur detto – della maggioranza degli italiani.
Nulla di buono in questo menefreghismo, perché, se gli italiani conoscessero un po’ meglio la propria storia recente, si eviterebbero demagogia e sceneggiate, ma soprattutto si capirebbero meglio i veri valori e i sacrifici di chi al confino c’è stato davvero, e magari anche in situazioni ben peggiori che a Ventotene.
Ma la macchina propagandistica non si può fermare; ed ecco che, immediata, su Rai 1 e reti collegate (perfino in Eurovisione!) è andato in scena lo show di Benigni con una sua lunga interpretazione personale dei fatti e delle (presunte) conseguenze sulla politica europea del dopoguerra. Un lungo monologo irrefrenabile concretamente incentrato tutto “contro” la Meloni e il governo. Quanto avrei dato per essere presente in sala e – anziché fare il silenzioso spettatore – alzarmi e contestare a Benigni un paio delle sciocchezze storiche che ha inanellato, le stesse sottolineate da diversi giornalisti e storici nelle scorse ore, a cominciare da Battista o Galli della Loggia uniti in un raro esempio di libertà di pensiero. Immaginate se qualcuno in una platea Rai avesse mai osato interrompere il Verbo!
Resta così aperta la questione di una Rai che in un colpo solo ha dimostrato di non essere infeudata da destra, ma piuttosto di restare saldamente in mano a quella sinistra che tanto piange e si lamenta.
Intanto, una volta di più, il richiamo antifascista si svilisce però in un cataplasma indispensabile per coprire i profondi dissidi interni che scuotono la sinistra su quasi tutte le tematiche europee sul tappeto, così come avviene nel centrodestra in materia di riarmo.
Un “antifascismo da parata” che viene trasformato in una sorta di foglia di fico per tutte le occasioni, e talmente tabù, che – quando viene pronunciato – impone con il “politicamente corretto” che tutti debbano fermarsi, immobili e folgorati, iniziando la polemica ma rimandando una volta di più un minimo di chiarezza sui veri temi al centro del dibattito europeo.
Ciascuno ha il proprio collante, ma credo che ormai questo collaudato schema di antifascismo “militante” sia fuori dal tempo, al contrario di Spinelli e Rossi quando scrissero il loro Manifesto in una situazione imparagonabile alla nostra.
Una volta di più, saggezza sarebbe leggere i documenti ed interpretare i fatti nel loro contesto prima di gridare. Questo vale sia per Ventotene, sia per capire le parole della Meloni, quando – in questo caso – ha solo espresso scomode verità e depistato la platea dal vero equilibrismo che le è necessario per barcamenarsi tra Trump e i vertici UE, il diffuso malcontento popolare per la guerra in Ucraina e la necessità di non emarginare l’Italia dal contesto generale.
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