Tutta la sinistra è innamorata delle Sardine? Forse, ma di certo non lo è Barbara Spinelli: giornalista, già europarlamentare di Sinistra Europea, oltre ad essere figlia di Altiero Spinelli (militante Pci e pioniere del federalismo europeo). È lei dalle colonne del Fatto Quotidiano a lanciare una delle poche voci fuori dal coro (nel campo della sinistra) sul “boom” delle Sardine e di Mattia Santori dopo il primo vertice nazionale lo scorso weekend a Roma: «Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica invece che fare campagna elettorale permanente. Pretendiamo che chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente su canali istituzionali. Pretendiamo trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network. Pretendiamo che il mondo dell’informazione protegga, difenda e si avvicini il più possibile alla verità. Pretendiamo che la violenza, in ogni sua forma, venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica. Chiediamo alla politica di rivedere il concetto di sicurezza, e per questo di abrogare i decreti sicurezza attualmente vigenti. C’è bisogno di leggi che non mettano al centro la paura, ma il desiderio di costruire una società inclusiva, che vedano la diversità come ricchezza e non come minaccia», sono le parole inserite nel Manifesto delle Sardine approvato da Santori e dagli altri fondatori all’interno del palazzo occupato romano. La Spinelli però non ci sta e attacca: «le Sardine hanno annunciato il loro programma, non economico né sociale, ma incentrato quasi interamente sulla comunicazione e sull’uso nonché controllo dei social network».
BARBARA SPINELLI (EX SINISTRA EUROPEA): “MANIFESTO SARDINE? CONTROLLO DEI MEDIA”
La Spinelli entra poi nel merito dei punti evidenziati dalle Sardine e rilancia «Il numero 5 (“La violenza verbale venga equiparata a quella fisica”) non resisterebbe al giudizio di nessuna Corte: internazionale (Onu), europea o nazionale». Secondo l’ex europarlamentare di sinistra, leggendo i punti del programma “sardinesco”, si può profilare l’aspirazione «a un vasto controllo/soppressione dei media e dei loro contenuti, soprattutto online. Tutto quello che viene ritenuto violento (da chi? Da quale istanza?) è passibile di azioni che limitano la libertà di diffondere e ricevere informazioni». Il pretendere che possa finire l’odio sui media e nella politica – di per sé condivisibile da tutti – non può essere “deciso” dallo stesso gruppo delle Sardine (come per qualsiasi altro ente “di parte”): non solo, la Spinelli – tutt’altro che affine alla Lega – riconosce subito dopo «il numero 6 pretende l’ abrogazione dei decreti Sicurezza. È l’ unico punto veramente sensato, ma se la pretesa sulla violenza contenuta nel numero 5 (applicata in vari ambiti: media online e offline, manifestazioni pubbliche etc.) viene inserita nei decreti riscritti, è meglio forse tenersi quelli di Salvini». Un manifesto che sembra scritto avendo in mente come unico obiettivo la “politica di Salvini” viene dunque sonoramente bocciato dalla Spinelli oltre che da parte consistente del Centrodestra: «Il numero 1 recita: “Chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare”. È immaginabile che si faccia qui riferimento alle attività non istituzionali di Salvini ministro dell’Interno. Ma la pretesa viene generalizzata e ha un suono inquietante, soprattutto se legata al numero 2». Un manifesto più “utile” ad un regime che intende mettere il “bavaglio” alle opposizioni? Il rischio c’è, la realtà per ora è troppo “fresca” per poterci dire se è un rischio veritiero oppure esagerato. Di certo quel manifesto, tanto stimato da tanti, non ha proprio convinto tutti e questo potrebbe essere un vantaggio anche per le stesse Sardine per “limare” al meglio le proprie proposte politiche qualora volessero fare la “discesa in campo” nel mare magnum della politica.