La Legge di bilancio prende sempre più forma, con un testo che nelle prossime ore dovrebbe arrivare in Parlamento per l’avvio dell’iter di conversione entro fine anno. Oltre allo scampato aumento dell’Iva, nella maggioranza è stato raggiunto un accordo per mantenere la cedolare secca sugli affitti al 10%, mentre aumenterà l’aliquota sulle vincite al gioco e sui tabacchi (sigarette elettroniche escluse). Restano confermate la plastic e la sugar tax e per garantire la tenuta dei conti il Governo ha congelato un miliardo di spese dei ministeri. Il Premier Conte e il ministro dell’Economia Gualtieri hanno anche annunciato di voler lavorare l’anno prossimo a una riforma complessiva degli scaglioni Iva e Irpef. Abbiamo chiesto un commento a Francesco Daveri, professore di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano.
Professore, alla luce delle ultime decisioni del Governo possiamo dire che le tasse diminuiranno?
Il ragionamento va fatto al netto o al lordo dell’Iva. Cancellare l’aumento previsto dell’Iva può essere infatti visto come una riduzione delle imposte oppure come una sorta di atto dovuto per cui non c’è realmente un effetto per cui gli italiani avranno nelle loro tasche più soldi.
Secondo lei quale sarà la percezione degli italiani?
Le persone ragionano con quanto hanno già in tasca, quindi rispetto alla sterilizzazione dell’Iva difficilmente questa verrà vista come una diminuzione delle tasse. Non ci sarà un effetto espansivo, ma un mancato effetto recessivo. Quello che rimarrà facilmente più in mente è che ci sono misure di contrasto all’evasione e microtasse che aumentano.
Si parla però di un taglio del cuneo fiscale.
Sono stati stanziati 3 miliardi di euro per il 2020: poca roba rispetto a quanto può servire per avere un effetto rilevante sull’economia. Sul fronte fiscale con questa manovra non viene fatto un granché. Non a caso dopo il risultato delle elezioni in Umbria si sono aperti i cantieri di una riforma fiscale per il 2020.
Sì, Conte e Gualtieri hanno parlato di una revisione degli scaglioni Iva e Irpef. Cosa ne pensa?
È chiaro che guardando alle aliquote Iva c’è una giungla che sembra non avere una razionalità e non proteggere i meno abbienti dal non pagare tasse sui beni essenziali. Credo si possa fare ordine nelle aliquote Iva cercando di evitare iniquità. Finora tali aliquote sono servite anche a garantire forme di entrata aggiuntive allo Stato, dato che una quota parte rilevante del reddito delle persone fisiche sfugge o è sfuggito in passato al controllo del fisco. Se si affinano gli strumenti di controllo sull’Irpef, ci potrebbe essere una buona ragione per basarsi di meno sull’Iva, che tra l’altro è l’imposta più evasa, rispetto al passato.
È stato anche deciso di congelare un miliardo di spese per garantire la tenuta dei conti.
Queste misure consentono di consegnare qualche risultato a chi ci guarda da Bruxelles, piuttosto che alle agenzie di rating, ma non portano realmente al controllo della spesa. Questa decisione è certamente una risposta immediata ai rilievi mossi nella lettera di Moscovici e Dombrovskis in cui si parlava di un aumento della spesa pubblica, anziché di una sua discesa. La soluzione assomiglia a quella adottata in estate da Tria e Conte per evitare la procedura d’infrazione. Credo che però sia necessario aprire il file della spending review in un modo ordinato e che riguardi i prossimi anni, evitando misure contingenti che portano a risparmi di spesa per l’anno che viene, ma che non sono quello che viene realmente richiesto.
Cosa ci viene richiesto?
Semplicemente che se si vuole ridurre il carico fiscale, bisogna ridurre la spesa pubblica. Tenuto anche conto che ci sono altre voci di spesa che presumibilmente continueranno a crescere a causa del trend demografico e di quello tecnologico che porterà a un aumento delle crisi aziendali. Ragione per cui bisogna predisporre delle risorse che servono anche a riqualificare i lavoratori e favorire il loro ricollocamento.
Valdis Dombrovskis ha detto che la manovra non verrà bocciata, ma restano delle preoccupazioni da parte della Commissione europea. Vuol dire che saremo osservati speciali?
È inevitabile. Sarebbe successo anche con una Legge di bilancio diversa, perché finché non si inverte la tendenza del rapporto debito/Pil rimaniamo osservati speciali. Nella manovra si parla di una riduzione l’anno prossimo dello 0,5%, legata però al verificarsi di privatizzazioni, a un certo andamento dell’inflazione, dello spread, ecc. Si tratta di una prospettiva piuttosto labile.
Molte misure fiscali previste dalla manovra scatteranno nella seconda metà del 2020. Considerando che ci saranno anche delle elezioni e che ci sono dubbi sulla tenuta della maggioranza, c’è il rischio di un’interruzione nella messa in opera di queste misure?
Questo è un rischio che non si può scongiurare. Siamo ormai il Paese dell’instabilità politica. Che però non si traduce in un’instabilità delle politiche economiche. Se la variabilità delle politiche economiche fosse pari al numero di governi che si sono succeduti negli ultimi anni, gli investitori sarebbero già scappati a gambe levate dal nostro debito pubblico. Di fatto questo non è avvenuto in modo marcato nemmeno l’anno scorso, con un Governo che litigava con l’Europa e considerava l’opinione dei mercati finanziari poco rilevante.
Perché ciò è avvenuto?
Perché alla fine il Governo giallo-verde aveva prodotto una Legge di bilancio molto più responsabile rispetto agli annunci iniziali. È come se gli investitori avessero ormai capito che i politici italiani abbaiano ma non mordono. Il debito rimane grosso modo lì, aumenta poco e gli investitori non ritengono quindi che sia sul sentiero dell’insostenibilità.
Oggi l’Istat diffonderà il dato sulla stima del Pil del terzo trimestre dell’anno. Lei cosa si aspetta?
Un dato vicino allo zero. Francamente non saprei dire se positivo o negativo. Negli ultimi cinque trimestri non abbiamo visto una vera recessione, quanto una sostanziale stagnazione dell’economia. E mi sembra che dagli ultimi indicatori non ci sia un’evidenza di discontinuità rispetto a ciò. Il manifatturiero continuerà a pagare pegno, mentre il settore dei servizi riuscirà grosso modo a sostenere la crescita.
(Lorenzo Torrisi)