Domani sapremo. Domani pomeriggio si riunirà il Consiglio dei ministri, nel frattempo Giancarlo Giorgetti avrà spedito a Bruxelles il Documento programmatico. La Legge di bilancio verrà inviata al Parlamento entro il 20 e allora si conosceranno anche i disegni di legge. Secondo le indiscrezioni, si tratta di una manovra che varia tra i 23 e il 25 miliardi di euro, l’anno scorso era arrivata a 35 miliardi. Il ministro dell’Economia sabato alla festa del Foglio ha detto chiaramente che “se non vogliamo aumentare le tasse, in automatico bisogna ridurre le spese”. E ha invitato tutti i colleghi di Governo a dare il loro contributo altrimenti prenderà lui le forbici.



Torna la spending review che non aveva dato grandi frutti, ma l’avvertimento di Giorgetti nasconde un’implicita minaccia: il ricorso ai tagli lineari, sì le accettate di Giulio Tremonti che si tirò addosso le ire del suo stesso Governo e il rancore perenne di Silvio Berlusconi. La realtà è che il disavanzo pubblico si ridusse e scese anche la pressione fiscale. Allora furono risparmiati 8,4 miliardi di euro nel 2009, 8,9 miliardi nel 2010 e ben 15,6 miliardi nel 2011 e non furono nemmeno sufficienti per evitare la crisi del debito sovrano.



Oggi basterebbero tre miliardi, un terzo di quel che manca per far quadrare il bilancio. Ben 18 miliardi di euro sono già ipotecati. Il grosso, 10,790 miliardi, servirà a ridurre il cuneo contributivo; a essi si aggiungono 615 milioni per il taglio dell’Irpef; quasi 2 miliardi per il Mezzogiorno; poco meno di un miliardo per le missioni internazionali; 832 per la detassazione del welfare; 430 in meno arriveranno dal canone Rai; il bonus mamme con due figli costerà circa 368 milioni e così via.

C’è stata una levata di scudi da parte dei vari ministri: Guido Crosetto ha detto che la Difesa non si tocca e ci mancherebbe altro di questi tempi, il ministro della Salute Schillaci vorrebbe più risorse e viene messo sott’attacco dal Pd che batte senza tregua su questo tasto. C’è anche chi promette di “fare i compiti a casa” come Tajani e Lollobrigida. Staremo a vedere.



Una tabella di fonte ufficiale dà ragione al sillogismo di Giorgetti, comprensibile anche a chi non ha studiato a Yale, come ha ironizzato il Ministro. I calcoli di Eurostat mostrano la spesa pubblica in rapporto al prodotto lordo dei principali Paesi europei dal 2019 al 2023, cioè durante la pandemia. La media è passata dal 47% al 50%. La Francia era al 55% e oggi sta attorno al 57%. L’Italia con il 48% si trovata al terzo posto dopo Francia e Belgio, ma è balzata al secondo posto con il 55%. Il Covid-19 ha colpito duro ovunque, anche in Germania che però è salita dal 45% al 48%. Tra i grandi Paesi la più virtuosa è la Spagna passata dal 42% al 46%. Insomma, l’Italia ha segnato il record della spesa con un incremento pari a 7 punti di Pil. È qui che occorre intervenire.

La pandemia è finita ufficialmente nel maggio del 2023, da allora la spesa pubblica italiana s’è ridimensionata al 51,2%. E lì resta. Secondo il bilancio 2024-2026, le spese continueranno a crescere in cifra assoluta e non per colpa dei tassi d’interesse; senza il servizio del debito siamo a 886 miliardi, dei quali 756 come spesa corrente quest’anno. Sembra quasi incredibile che non si riesca a trovare una manciata di miliardi.

Giorgetti alla festa del Foglio ha anticipato che alla fine potrebbe esserci un trattamento migliore per chi ha figli, mentre una pulizia delle agevolazioni fiscali può portare un miliardo, ben poco rispetto ai cento miliardi di mancato gettito (circa sei punti di Pil) generati da 625 detrazioni, deduzioni e varie scappatoie legali. Un intervento più significativo era stato promesso con la riforma fiscale organica della quale parla in continuazione il Viceministro Leo, ma che viene rimandata di anno in anno. Dai giochi si stima possano arrivare 400 milioni di euro. Il Ministro non ha azzardato cifre a proposito della tassa sugli extraprofitti che ha diviso la maggioranza e sulla quale Forza Italia per bocca di Tajani ha posto un veto.

Tutto questo gioco a rimpiattino avviene in un quadro congiunturale decisamente peggiore. Abbiamo lasciato all’ultimo la pillola più amara. Il Governo ha fatto i conti sopravalutando la crescita del Pil. Hai voglia a dire che non c’erano tesoretti, il messaggio mediatico era del tutto opposto. La revisione dell’Istat ha raffreddato gli entusiasmi e la Banca d’Italia non ha nascosto la sua irritazione per quell’insistere su un aumento dell’1% quest’anno invece dello 0,8%. Per mesi è stato tutto un tambureggiare sull’Italia che corre più degli altri, ma il rallentamento era già evidente. Non arriva la recessione, però l’industria manifatturiera sta soffrendo e non solo l’auto e la moda. Le esportazioni reggono, tuttavia non riescono a trascinare l’intera economia come è avvenuto negli anni scorsi. Vedremo con i conti alla mano se il Governo ha messo fieno in cascina per evitare un magro inverno.

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