Il Governo Conte-2 non brilla certo per avere avviato sue politiche a sostegno del lavoro. Partito senza avere il coraggio di correggere da subito le storture introdotte con il reddito di cittadinanza e quota 100 è stato poi costretto a produrre qualche intervento sotto l’incalzare degli effetti della pandemia. Non avendo sviluppato nel programma un’idea per riorganizzare i servizi al lavoro e avviare una seria politica attiva del lavoro, ha agito nell’emergenza con l’estensione degli ammortizzatori sociali esistenti, il blocco dei licenziamenti e una serie di bonus tesi a supportare la caduta del reddito dei lavoratori autonomi. 



In vista dell’elaborazione del programma necessario per utilizzare i fondi che l’Europa ha stanziato per l’uscita dalla crisi si sono affacciate idee per riprendere la strada della costruzione di una rete efficace di servizi al lavoro. La constatazione che aver caricato sul reddito di cittadinanza la lotta alla povertà e politiche del lavoro ha portato a indebolire l’efficacia della misura in tutti e due i suoi effetti, è per ora l’unico punto comune nelle riflessioni dei partiti di maggioranza. Evidentemente nella realtà i temi di una modernizzazione dei nostri sistemi di tutela del lavoro fremono e si pongono comunque all’attenzione della politica.



Così dagli emendamenti che accompagnano il percorso di approvazione della Legge di bilancio appare una realtà più ricca di quanto ci ha offerto finora il dibattito governativo. E prima di vedere le proposte di merito è bene sottolineare che anche da questo dibattito esce confermata l’utilità di avere nel Parlamento un momento di verifica e approvazione dei provvedimenti legislativi. L’accentramento, anche se motivato dall’emergenza, ha portato a decisioni più deboli, meno convincenti e talvolta al limite dell’abuso dei poteri monocratici. Il confronto parlamentare, quando si indirizza al bene comune, conduce sempre a decisioni migliori e che ottengono un consenso nel Paese indispensabile per affrontare periodi di difficoltà. 



Tornando al merito delle proposte è con emendamenti concordati e trasversali a maggioranza e opposizione che si è creato un fondo per dare vita a tutele di sostegno al reddito e al lavoro per i lavoratori autonomi. È un inizio, ancora da definire nelle forme e nella sua articolazione, ma certamente è un intervento atteso e che cerca di allargare i servizi di welfare a una categoria di lavoratori che non avevano tutele pur essendo cresciuti di numero nel corso degli ultimi anni. La crisi di quest’anno ha poi messo in luce come l’assenza di strumenti di welfare di carattere universale per lavoratori autonomi o dipendenti creasse situazioni di diseguaglianza e ingiustizia non più accettabili di fronte a difficoltà economiche nate da eventi eccezionali e imprevedibili.

Alla scelta di avviare una politica di nuovo welfare va aggiunta anche la scelta, anche questa unanime, di aumentare le risorse messe a disposizione dal 2021 per sostenere e ampliare il sistema duale scuola-lavoro. Con due emendamenti si destinano più risorse sia per i percorsi duali per il raggiungimento del diploma di formazione professionale, sia per ampliare i percorsi degli Istituti tecnico scientifici di livello terziario.

Il segnale che viene dalle decisioni del Parlamento è importante perché indica nel percorso duale e nel sostegno all’uso del contratto di apprendistato il canale da privilegiare per rispondere alle difficoltà storiche che abbiamo nel rapporto scuola-lavoro e nel tasso anomalo di disoccupazione giovanile e di giovani Neet. Dare sostanza a questa indicazione parlamentare con una scelta nazionale (e di tutte le regioni) per fare crescere il sistema di formazione professionale e il ricorso all’apprendistato come canale di accesso privilegiato al lavoro per i giovani segnerebbe finalmente una svolta rispetto a una situazione stagnante da troppi anni.

Con un emendamento apparentemente solitario, ma poi recepito da tutte le parti politiche, è comparso nel bilancio un nuovo programma per l’occupazione denominato Gol (Garanzia di occupabilità) finalizzato all’inserimento occupazionale. Il programma fa esplicito riferimento a quanto l’Unione europea propone da tempo in termini di percorsi formativi, servizi di orientamento e tutoraggio, finalizzati a dare maggiore occupabilità a chi è in cerca di lavoro. Potranno offrire servizi ai disoccupati sia i servizi pubblici per l’impiego, sia le Agenzie per il lavoro e gli enti accreditati. A gestire questo nuovo programma sarà l’Agenzia nazionale per le politiche attive che provvederà anche a definire forme di erogazione dei fondi e panel di servizi che dovranno essere previsti nei programmi individuali di occupabilità. Come appare evidente, è la riproposizione dell’assegno di ricollocazione e dei servizi di politica attiva che erano connessi con l’assegno. Il tutto era sparito nella confusione creata dal reddito di cittadinanza e dai navigator.

La novità infatti è nella definizione dei beneficiari perché si torna a puntare a uno strumento generale che risponda al bisogno di lavoro per tutti, indipendentemente dall’incarico di lavoro precedente. Per questo l’elenco prevede che possano accedere al programma sia i disoccupati in Naspi o Dis-Coll, quindi sia lavoratori dipendenti che autonomi, ma anche cassa integrati sia con Cig ordinaria che straordinaria, e anche fruitori del reddito di cittadinanza.

Come si vede la realtà ha riportato, grazie al dibattito parlamentare, al centro della scena le necessità di dotarci di un sistema generale di servizi al lavoro e di uno strumento unico, con cui rispondere alle esigenze di nuova occupabilità dei disoccupati. È solo sulla base di strumenti universali e flessibili che si possono attuare poi programmi personalizzati per poter affrontare realmente il senso del prendersi in carico il bisogno di lavoro di ognuno. Bisogno che è uguale per tutti, ma richiede risposte diverse per ciascuno.