Il governo ha presentato la Nadef, la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, che programma la finanza pubblica per il 2020: si preannuncia una manovra espansiva, che porta il deficit sul Pil dall’1,4% previsto al 2,2%. Si tratta dello 0,8% di Pil in più, ovvero 14,5 miliardi di euro di spese aggiuntive. Intanto, dal resto del mondo arrivano notizie preoccupanti per l’economia: gli Stati Uniti hanno applicato nuovi dazi che toccheranno anche importanti prodotti del made in Italy, i dati sull’economia tedesca continuano a dare segnali negativi, l’ultimo sul settore dei servizi, a cui si aggiungono i rischi geopolitici globali legati a nuovi possibili dazi tra Usa e Cina e alla Brexit. Adesso che le prime cifre della prossima manovra sono sul tavolo, anche se non definitive, abbiamo parlato con Mario Baldassarri, ex viceministro all’economia e presidente del centro studi EconomiaReale, per capire quali saranno gli effetti di una manovra così concepita, e come potrà andare la trattativa sul bilancio che il governo italiano sta per iniziare con la Commissione europea.
Come giudica nel suo complesso sulla manovra prevista dalla NaDef?
Dei 29 miliardi previsti 23 sono stati usati per evitare l’aumento dell’Iva. Quindi non stiamo parlando di un impulso alla crescita, ma solo di evitare un ulteriore freno alla crescita. Tolta la cifra per l’Iva, la manovra è di 7 miliardi, cioè lo 0,4% del Pil. Di questi, 4 miliardi sono spese obbligatorie, che quindi sostanzialmente non sono manovra. Restano 2 miliardi e mezzo sul cuneo fiscale a partire da luglio dell’anno prossimo. La manovra vera quindi è lo 0,12% del Pil. In sostanza è una manovra microscopica dagli effetti trascurabili sulla crescita.
Per molti economisti questa NaDef non fa che spostare in avanti il problema della sostenibilità dei conti pubblici. È davvero così?
Il problema non è la sostenibilità, è che si fa un percorso di galleggiamento sperando che non avvengano tempeste. E questa manovra si annuncia senza misure per la crescita e gli investimenti.
Che tipo di coperture sono state previste?
Metà dei 30 miliardi sono maggior deficit pubblico. Riguardo i restanti 15: 6 miliardi sono minori interessi sul debito, è l’effetto Draghi e il fatto che i mercati hanno tolto il rischio cambio, visto che col nuovo governo si azzera la possibilità di uscita dall’Euro. Poi ci sono i 7 miliardi per il recupero dall’evasione…
È una cifra troppo ambiziosa?
Tanti auguri. C’è un principio di serietà da stabilire per tutti: il gettito da lotta all’evasione si iscrive a bilancio quando li hai incassati, non prima.
Il premier Conte propone un patto con gli italiani onesti per pagare tutti, ma pagare di meno. Su quali presupposti dovrebbe fondarsi?
Sono solo chiacchiere demagogiche, capisco che sia un giurista e non un economista: ma queste cose ce le hanno dette tutti i governi degli ultimi 30 anni. Il governo deve agire applicando gli incroci dei dati fiscali e il conflitto di interessi. E il maggior gettito ottenuto dalla lotta all’evasione deve ridurre le tasse per quelli che oggi ne pagano troppe.
Gli industriali chiedono più coraggio, a partire dalle risorse destinate al cuneo fiscale: servono 13-14 miliardi, e non 2 o 3. Lei che tipo di manovra avrebbe fatto?
Avrei messo 30 miliardi di sgravi Irpef alle famiglie coperti con tagli sulle tax expenditures, e 30 miliardi di azzeramento Irap e cuneo fiscale per le imprese, coperti da tagli dei fondi perduti. Questi 60 miliardi di manovra non richiederebbero un euro di deficit in più. Se con uno 0.8% di deficit in più, passando da 1,4% a 2.2% di deficit, ottieni un +0.2% di crescita, allora, moltiplicando per cinque questo deficit aggiuntivo, per ottenere +1% di Pil dovremmo fare 6,2 % di deficit. Il punto quindi è che non si fa crescita con deficit e debito, ma con manovre strutturali sulla ricomposizione della spesa e delle tasse.
Gentiloni, nella sua audizione al Parlamento europeo, ha detto che la flessibilità non è una concessione, ma è nelle regole europee. Il governo ha fissato un deficit al 2,25%. Riuscirà ad avere dalla Ue maggiori spazi?
La flessibilità negli ultimi 5 anni ce l’hanno sempre data. Il nodo vero con l’Europa è che la Commissione ci chiedeva una riduzione del deficit strutturale dello 0.6%, mentre nella Nadef c’è scritto che la riduzione del il deficit strutturale peggiora del +0.1%. Cosa vuol dire? Che non c’è una riduzione del deficit strutturale, ma un peggioramento dello 0,7%. E nelle regole europee c’è scritto che bisogna ridurre il deficit strutturale per avere flessibilità sul deficit nominale. Noi stiamo facendo l’opposto.
Il governo ha detto di voler mantenere industria 4.0. Le sembra una scelta positiva?
Sì, sarebbe stato un errore toglierlo. È positivo che questo governo confermi quel poco di buono che hanno fatto i governi precedenti, purtroppo però il governo non elimina il tanto di male fatto dai suoi predecessori su quota 100 e il reddito di cittadinanza, provvedimenti che ha mantenuto.
Sono usciti i numeri dei nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti all’Europa, con aumenti dei dazi del 25% pecorino romano e parmigiano reggiano, provolone e prosciutto. Quanto ci fa male?
Già oggi metà dei prodotti alimentari che sono venduti nel mondo come made in Italy sono falsi, perché non sono italiani: come ad esempio il parmesan. Aggiungendoci i dazi si frenano ancora di più. Ormai il consumo di prodotti italiani negli Stati uniti si era abbastanza diffuso. Non sono beni di lusso, ma se costano 2-3 volte di più lo diventano. Come ho detto sin dall’inizio le guerre dei dazi danneggiano tutti, è scienza economica base.
La scienza economica però dice anche che se i dazi sono applicati da un paese grande, possono avvantaggiarlo.
Ma non accade oggi che le filiere del valore sono integrate: tant’è che i primi a protestare per i dazi europei è stata l’industria automobilistica americana: perché la General Motors è presente anche in Europa, col nome Opel.
Parlando della guerra dei dazi a livello globale, quella Usa- Cina. Stiamo davvero andando verso una frammentazione dell’economia globale?
Se continuiamo così andiamo verso una prossima crisi globale. Solo l’annuncio dei dazi ha fatto diminuire gli investimenti produttivi, magari dopo freneranno anche i consumi, ma gli annunci agiscono immediatamente sulle aspettative e quindi sugli investimenti. E non parlo solo di quelli all’estero, ma anche degli investimenti all’interno delle singole economie.
Qual è il problema in Europa. Come si esce dalla stagnazione, che potrebbe diventare anche una recessione?
Il problema è istituzionale, l’Europa ha una politica monetaria comune e 19 bilanci nazionali. Senza gli Stati Uniti d’Europa con un bilancio federale europeo consistente non andiamo da nessuna parte. Oggi il bilancio federale dell’Ue è l’1% del Pil Europeo, mentre il bilancio federale americano è del 25% del Pil. L’Europa quindi deve aumentarlo, poi i singoli stati, come avviene anche negli Usa, avranno i loro bilanci indipendenti.
L’integrazione però sembra fare passi indietro.
È il senso dei fatti che stanno accadendo. Ma secondo me, per superare i problemi attuali, l’Europa dovrebbe fare dei passi avanti e non passi indietro verso sovranismi nazionali inesistenti e impotenti.
(Lucio Valentini)