Tutta la manovra economica, e quindi la Legge di bilancio (che dovrebbe essere prestissimo all’esame delle Camere), si regge su di un assunto di cui non parlano né la maggioranza, né l’opposizione: la “sostenibilità” del debito pubblico. La maggioranza non ne parla perché aprire un dibattito su questo tema vorrebbe dire mettere in luce tutta la fragilità della politica di finanza pubblica che si propone al Paese. L’opposizione, o almeno una parte di essa, non la menziona perché almeno una delle forze politiche che la compongono ha idee di disavanzo dei conti pubblici (e di aumento del rapporto debito/Pil) almeno simili a quelle di coloro che erano sino a pochi mesi fa i suoi alleati.
Pare non ne parlino neanche le istituzioni europee per due ragioni: da un lato, non vogliono infastidire un Governo che si dichiara loro amico dopo avere corso il rischio di dover “coabitare” per diversi anni con uno dei maggiori Paesi dell’Unione europea guidato da un Esecutivo che si mostrava a loro avverso (poco conta se il Presidente del Consiglio e numerosi ministri non sono cambiati); da un altro, nell’ultimo anno, nella distrazione del Governo italiano (o quanto meno del suo ministro dell’Economia e delle Finanze), hanno messo in piedi un meccanismo per impedire che problemi di (mancanza) di sostenibilità del debito italiano abbiano effetti perversi sul resto dell’Ue.
Su questa testata, il nodo è stato evocato più volte, ma è bene riannodarne i fili sulla base delle ultime informazioni e sviluppi. In primo luogo, quelli che vengono dal Fondo monetario. Il 17 ottobre, il Fmi ha distribuito on line ai propri abbonati un lavoro di Xavier Debrun, Jonathan Ostry, Tim Willems e Charles Wyplozs che sviscera il concetto stesso di “sostenibilità” del debito pubblico: è il Cepr Discussion Paper No. DP14010 che sarà presto disponibile a tutti gli utenti delle pubblicazioni del Fondo e del Cepr. Il lavoro si chiede perché il Giappone “sostiene” un debito superiore del 200% al Pil e l’Ucraina invece è stata “insolvente” con un debito inferiore al 30% del Pil.
Da un lato, non esistono indicatori semplici e sintetici di “sostenibilità”. Da un altro, la decisione di “sostenere” o meno il debito evitando insolvenze dipende da un’analisi dei costi e dei benefici di un’eventuale insolvenza; sia dal punto di vista dello Stato indebitato, sia dal punto di vista dei creditori. Da un altro ancora, c’è molta incertezza su come i mercati reagiscono al debito e su come modellare (a fini previsionali) i loro comportamenti. Infine, non tutti i debiti sono uguali: la sostenibilità dipende da durata dei titoli e scadenza, tipologie dei creditori e loro avversione al rischio. Il lavoro, di valenza accademica e metodologica, passa in rassegna e valuta i vari indicatori utilizzati dal Fondo (e da altri) nel suo lavoro di analisi.
Nel World Economic Outlook distribuito il 15 ottobre c’è una chiara indicazione di come queste riflessioni metodologiche si applicano all’Italia. Il documento è esplicito: l’impegno credibile a ridurre il debito nel medio termine è particolarmente importante in Italia, dove debito ed esigenze di rifinanziamento sono ingenti. Già in primavera il Fiscal Monitor del Fondo (documento letto principalmente da specialisti) aveva lanciato un avvertimento eloquente: si avvertiva che shock anche modesti avrebbero portato il debito tra il 140% e il 150% del Pil entro il 2023, ossia prima della fine della legislatura. L’impegno credibile (di cui parla il Fondo) non è in una manovra che, invece, rinvia di un anno il risanamento dei conti pubblici e nei confronti del debito pubblico pare adottare la linea del benign neglect (benevola trascuratezza).
Perché Bruxelles tace (e forse continuerà a tacere)? Lo ha riassunto egregiamente Giampaolo Galli dell’Osservatorio dei Conti Pubblici dell’Università Cattolica in un recente seminario a Roma. Non solamente per le determinanti politiche citate, ma anche perché con la riforma dell’European Stability Mechanism (Esm) – nelle cui decisioni operative hanno potere di veto solo Germania e Francia anche perché, al momento di detta riforma, l’Italia era in piena battaglia con l’Ue – si sono poste misure che proteggono gli Stati più a rischio dell’Unione da un’eventuale insolvenza italiana. In primo luogo, con un “singolo” voto dei creditori (cui ovviamente lo Stato indebitato prospetta un’alternativa peggiore) si può ristrutturare l’intero debito pubblico, mentre con le clausole in vigore si vota su ogni serie di Btp o Cct, ecc. Una volta fatta la ristrutturazione del debito di uno Stato, l’Ems si occupa si salvare gli altri tramite due linee di credito: Precautionary Conditioned Credit Line (Pccl) e una Enhanced Conditions Credit Line (Eccl) a cui non può accedere chi ha avuto il proprio debito ristrutturato.
Queste due misure sono state avviate nel dicembre 2018 (Consiglio europeo del 12 dicembre) e confermate in giugno (Consiglio europeo del 21 giugno). Dovranno essere varate definitivamente il prossimo dicembre. Che dire? Nessun Dorma!