Mentre dall’economia tedesca continuano a arrivare segnali negativi, in Italia si è insediato un nuovo governo. A novembre poi partirà la nuova commissione, e Mario Draghi cederà a Christine Lagarde la poltrona di presidente della Bce. Intanto l’Istat evidenzia una flessione negativa dell’economia italiana attribuita all’instabilità politica interna, ai rischi globali legati alla guerra dei dazi Cina-Usa e alla possibile hard Brexit. Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino ed ex direttore de Il Sole 24 Ore, si mantiene cauto: “A parte la tendenza a drammatizzare, tipica dei nostri giornalisti, i nostri problemi arrivano da lontano”.



Intanto l’economia è ferma.

Concordo con l’Istat, a parte sul rischio Brexit che ci riguarda relativamente (è l’ottavo paese d’origine del nostro import, quarto per il nostro export, ndr). Pensavo potessimo attestarci su un +1% di Pil, invece siamo alla crescita zero. La guerra dei dazi resta un problema, anche se vive di continui dietrofront. Riguardo alla Germania, il dato che più preoccupa è l’aumento della disoccupazione. Poi vengono i nostri problemi interni.



Quali?

Difficoltà di lunga data: siamo in stagnazione economica da 25 anni, a cui vanno sommati 14 mesi di errori molto gravi nelle politiche di spesa.

Qual è stato l’errore del governo Lega-5 Stelle?

L’idea del governo precedente di riattivare il ciclo dando soldi alle fasce più deboli è sbagliata: non fa ripartire i consumi. La cosa migliore è investire in opere pubbliche, perché danno una spinta molto forte alla componente interna della nostra economia. L’80 per cento dei soldi investiti restano in Italia, si spendono e si incassano subito.

Lo sbaglio è stato fare il reddito di cittadinanza.



I soldi che diamo ai ceti più deboli restano nelle loro tasche. Non li spendono subito perché tendono a risparmiarli, e poi non comprano beni italiani, piuttosto prodotti cinesi. Dobbiamo partire da un aiuto generale all’economia, anche se è giusto aiutare i poveri: ma a quello scopo il reddito di inclusione mi sembrava una misura molto più sensata.

Dunque la chiave sono i cantieri?

Si, sono lo strumento più rapido e il più efficace. La stessa quantità di risorse finanziarie investite in un progetto pubblico, coi cantieri che si aprono e i tempi che si rispettano, danno un ritorno di gran lunga maggiore. Farlo ci consentirebbe di scavalcare un problema importante: il piccolo imprenditore, anche se lo agevoliamo, non rischia su una ripresa che non vede. Invece il capo dipartimento dell’Anas o i costruttori di scuole pubbliche ricevono l’ordine di spendere e lo fanno, punto.

Il Nord del nostro paese è legato a doppio filo all’economia tedesca, che continua a dare segnali negativi. Il calo della produzione industriale (a luglio, -4,2% sull’anno precedente) ha seguito la notizia del calo degli ordinativi (a luglio, -2,7%, -5,6% sull’anno scorso). È questa la minaccia principale?

Sul fatto che sia il nostro primo problema si può discutere, per me restano gli errori fatti dalla nostra politica economica. Certo per la nostra componentistica, che un tempo vendeva a Fiat e ora ha grossi clienti in Germania, è un problema grave.

Una politica monetaria ancora più accomodante da parte della Lagarde (che entrerà in carica a novembre) può aiutare?

Il cavallo che non ha sete non beve. Non basta metter i soldi a disposizione, bisogna creare le condizioni per cui i soldi sono richiesti: meglio cominciare con la spesa pubblica che può ribaltare la fase.

Cosa riuscirà a fare questo governo sull’Iva?

Penso che l’Iva non scatterà: saranno indulgenti con noi visto che dovranno esserlo anche con i tedeschi il cui rallentamento a livello europeo è preso molto seriamente. Un presidente tedesco come Ursula Von der Leyen farà tutto quello che va fatto a questo scopo. Noi poi potremmo cercare di recuperare l’Iva evasa (33 miliardi l’anno). Recuperare questi soldi non era una priorità per il vecchio governo, dovrebbe diventarlo per il nuovo.

Restando al tema del sommerso, il nuovo accordo di governo (al punto 16, ndr), punta sull’inasprimento delle pene per i grandi evasori e sull’estensione dei pagamenti elettronici. Lo trova efficace?

Non mi convince parlare di pene, meglio parlare di multe. L’inasprimento delle pene, su cui i 5 Stelle insistono tanto, è una questione più che altro di scena. Per l’economista conta recuperare il gettito. Non serve necessariamente correre dietro alle evasioni da 100 euro ma a quelle da 100mila euro: magari sono pochi casi, ma possono cambiare il quadro.

Nel programma del nuovo governo giallo-rosso sull’industria e sulle imprese, soprattutto le Pmi, dice ben poco. 

Quello che c’è scritto nell’accordo è una cosa, la politica sarà un’altra. Non esiste un vero contratto, come tra Lega e 5 Stelle, ma solo dei punti programmatici. Non è un testo da notaio, dove ogni virgola ha un suo peso: vengono indicate delle priorità, delle linee e a volte strumenti. Bisognerà vederli all’opera.

Il nuovo governo punta molto sul New Deal Green. Ne parlano molti attori a livello globale. Può essere un driver di crescita importante?

Gli darei una importanza media. Non è una ricetta magica, è un ingrediente necessario in alcune occasioni e può avere un effetto positivo. Difficile che sia in grado di invertire il ciclo da solo.

Il nuovo ministro dell’economia Gualtieri è ben inserito nelle istituzioni europee, ma non ha un curriculum da economista. Che ne pensa?

Quello che conta è che è stato per anni in posizioni di rilievo con le istituzioni europee. Magari non ha grosse competenze teoriche, ma a livello pratico conosce bene quel mondo. Sa come funzionano gli uffici, un ordine del giorno, chi prende le decisioni importanti. Ed è questo quello che conta per essere efficaci.

(Lucio Valentini)