La strada verso la messa a punto della Nota di aggiornamento al Def pare essere in salita per il Governo: l’Europa non sembra pronta a rivedere il Patto di stabilità e crescita e non è chiaro quanta flessibilità potrà ottenere Roma in vista di una non facile manovra finanziaria. «Tutto quello che mette in difficoltà l’Italia mette in prima battuta in difficoltà l’Europa. L’Ue sta quindi mettendo in difficoltà se stessa. Pervicacemente continua a non capire quanto sia rilevante affrontare e risolvere la questione delle regole fiscali per frenare l’avanzata monumentale dei populisti lì dove ci sono difficoltà economiche», ci dice Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Il problema è quindi l’atteggiamento che sta tenendo l’Europa nei nostri confronti?
C’è un enorme problema a monte europeo, ma c’è n’è anche uno italiano. È impressionante infatti leggere l’intervista a Matteo Renzi, in cui parla della necessità di creare un soggetto politico per combattere i populismi, ma senza che citi l’arma che va proposta per combatterli, quasi non fosse compresa. Se è vero che non c’è spazio per il cambiamento delle regole europee, e questo è gravissimo dopo quanto è stato messo in luce dalle elezioni di fine maggio, non è vero che sono chiuse tutte le opzioni. Occorre tenere vivo uno dei pochi risultati positivi del Governo giallo-verde e fare un passo in più.
A quale risultato positivo fa riferimento?
Il precedente esecutivo è riuscito a far saltare il Fiscal compact con una Nota di aggiornamento del Def che non prevedeva la convergenza al pareggio di bilancio. Non è vero quindi che non possiamo portare avanti delle riforme epocali del patto fiscale, se non nella forma quanto meno nella sostanza. È fondamentale che proprio a un anno di distanza da quella rivoluzione giallo-verde, poi sprecata con un utilizzo folle e miope delle risorse liberate con Quota 100 e Reddito di cittadinanza, il Governo abbia l’intelligenza di fare un ulteriore passo, sempre comunque all’interno di una cornice di rispetto delle regole fondamentali europee, lasciando il deficit al 3% del Pil, come di fatto lo è oggi, per i prossimi tre anni. Ovviamente questa è una precondizione e richiede una battaglia, la quale si giustifica con il fatto che abbiamo ben capito che senza questi passi i populismi crescono e si sviluppano.
Perché parla di precondizione?
Dico che è una precondizione perché poi bisogna saper usare bene queste risorse addizionali rispetto a una potenziale richiesta europea di convergere per il 2020 al 2% di deficit/Pil, cosa che rappresenterebbe un regalo di dimensioni epocali a Salvini e ai sovranisti. Se infatti portiamo il deficit dal 3% al 2% del Pil facciamo una manovra restrittiva per 20 miliardi. In uno stato così comatoso dell’economia italiana vorrebbe dire condannarci a una sicura recessione. Confermare il deficit al 3%, che sembrerebbe un atto coraggiosissimo, significherebbe lasciare le cose come stanno, evitando l’aumento dell’Iva. Ma così resteremmo in piena stagnazione. Occorre dunque fare qualcosa.
Che cosa nello specifico?
L’unica cosa che possiamo fare è trovare risorse nel modo meno doloroso possibile per circa un punto percentuale di Pil, pari a 20 miliardi, per fare politica fiscale espansiva, che vuol dire una sola cosa: investimenti pubblici. Si tratta dell’unico motore che può far ripartire l’economia, perché qualsiasi proposta di mini-flat tax o taglio del cuneo fiscale (una follia per un governo progressista) non funzionerebbe: mettere soldi in tasca in più ai cittadini, in un clima economico come questo, finirebbe per alimentare il risparmio e non i consumi e la domanda interna, come invece farebbero gli investimenti pubblici.
Dove si possono trovare risorse per 20 miliardi di euro?
Tramite aumento dell’Iva sui beni di lusso, una maggior lotta all’evasione fiscale, la ristrutturazione di alcune detrazioni, l’avvio di una spending review intelligente che colpisca gli sprechi. Queste risorse, che hanno impatto negativo minimo, verrebbero usate per finanziare una misura in grado di rimettere in moto la macchina dello sviluppo italiano. Ciò richiede ovviamente una decisa e ferma negoziazione con l’Europa. Se invece siamo già pronti a portare il deficit al 2% del Pil, allora riporteremo Salvini al centro dell’agenda italiana ed europea.
Se dunque Gualtieri ha spiegato di aver detto ai colleghi europei che l’Italia non farà una manovra restrittiva, occorre ben intendersi su cosa questo significhi…
Un manovra non restrittiva vuol dire stare almeno dove siamo, con il deficit al 3%. Quindi sarebbe una contraddizione in termini parlare di una manovra non restrittiva e poi portare il deficit al 2%. Si tratterebbe di una manovra molto restrittiva e molto recessiva.
Si sta parlando invece di un Green New Deal europeo, con la possibilità di scorporare dal deficit gli investimenti verdi. Cosa ne pensa?
È troppo poco, nel senso che se non c’è voglia di cambiare le regole europee potrebbe essere la solita eccezione che libera risorse per pochi decimali di Pil. Quindi invece di un deficit al 2% del Pil ce lo farebbero fare al 2,2%, ma saremmo comunque di fronte a una manovra recessiva. Il punto è che non possiamo aspettare che l’Europa ci conceda più spazio: occorre che l’Italia prenda il pallino in mano, ma con coraggio.
(Lorenzo Torrisi)