Quota 103? “Preferisco chiamarla Quota 41, che per la Lega è la soluzione migliore, nell’ottica di una riforma previdenziale complessiva di cui con questa manovra abbiamo solo compiuto il primo passo”. La riforma del reddito di cittadinanza? “Noi vogliamo puntare con decisione sulle politiche attive per evitare che il reddito sia distribuito indiscriminatamente e vogliamo coinvolgere Agenzie per il lavoro, Comuni e terzo settore per contrastare la povertà e implementare il matching fra domanda e offerta”. La reintroduzione dei voucher nel turismo e nell’agricoltura? “Lo abbiamo fatto semplicemente perché servono e ce lo chiedono interi settori che hanno lavori stagionali e saltuari”.



Così il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, senatore della Lega, sintetizza la ratio che ha spinto il governo Meloni a intervenire su tre temi chiave di welfare, lavoro e previdenza nella sua prima manovra di bilancio, che sta per arrivare in Parlamento, dopo la bollinatura della Ragioneria dello Stato e la firma del Presidente della Repubblica, e dove dovrà affrontare un vero e proprio tour de force per poter ottenere l’ok entro la fine dell’anno, evitando così lo spettro dell’esercizio provvisorio.



Partiamo dalle pensioni. Non passa anno che non si modifichino – almeno marginalmente – le regole di pensionamento. Dal 2019 al 2021 c’è stata Quota 100, nel 2022 Quota 102, nel 2023 sarà Quota 103, la “pensione anticipata flessibile” con 41 anni di contributi e 62 anni d’età. Perché questa quota? Che calcoli la supportano?

Per me non è Quota 103, ma quota 41, che per noi è la soluzione migliore, anche se poi nella formula è stata appunto aggiunta anche l’età. Abbiamo iniziato nel più breve tempo possibile un percorso, ma questo percorso inizia proprio a ridosso della presentazione della Legge di bilancio, tra l’altro fortemente impegnata sull’emergenza del momento, cioè il caro bollette. Quindi abbiamo voluto da subito lasciare il segno sulla direzione che vogliamo intraprendere, per non tornare alla legge Fornero, con un’altra finestra per uscire dal mercato del lavoro. I passi successivi saranno condivisi con le organizzazioni sindacali e datoriali per delineare una riforma del sistema pensionistico che arrivi a inglobare un po’ tutte le formule e le possibilità di uscita che oggi esistono. Puntiamo a una riforma strutturale.



Che senso ha l’incentivo a rimanere oltre Quota 103?

L’incentivo serve ad asciugare un po’ il mercato in uscita, concentrandolo su quelle persone che ormai non hanno più nulla da dire al mercato del lavoro, consentendone così la sostituzione e aiutando le aziende. In secondo luogo, l’incentivo a rimanere oltre Quota 103 dovrebbe aiutare soprattutto alcune categorie, per esempio i medici, visto che a causa di una strategia miope, quella del numero chiuso, inseguita negli anni oggi ci troviamo con una grave carenza di personale sanitario.

Non ritiene che servirsi di questa via d’uscita sia un’opzione che, come dimostrano le esperienze compiute con Quota 100 e Quota 102, non viene molto condivisa, per diverse ragioni, da una quota importante dei possibili beneficiari?

Quota 102 ha avuto a luglio un tiraggio importante: 8mila persone su 16mila potenziali beneficiari, con una previsione ad arrivare al 75%, mentre Quota 100 ha auto un tiraggio addirittura superiore al 75%.

L’incentivo rimarrà del 10% della decontribuzione?

Questo è il livello che abbiamo inserito nel testo della manovra, poi con il dibattito parlamentare c’è la possibilità di tarare e cambiare.

A proposito di dibattito parlamentare, che avrà tempi ristretti, la Lega, come ha riferito Riccardo Molinari, è sì “soddisfatta” del testo arrivato alla Camera, ma “qualche emendamento lo presenterà”. Sulla previdenza dove pensate di intervenire?

Il dibattito lo si gestirà in Parlamento, con il nostro capogruppo e i membri della Commissione Bilancio. A mio avviso, interverrei su Opzione donna, ripristinando il vecchio regime più allargato rispetto a quello che viene prospettato nella Finanziaria. Opzione donna è il difetto più evidente di questa manovra.

Parliamo di Reddito di cittadinanza. Il beneficio durerà ancora 8 mesi nel 2023, ma già al primo rifiuto lo si perderà. Ad agosto finirà davvero tutto?

Premesso che il prossimo anno ci dedicheremo alla riforma complessiva del Reddito di cittadinanza, con questa norma abbiamo voluto dare una “possibilità” massima di percepire il reddito. Ma non finirà con il mese di agosto. Se un percettore avrà accesso alla misura a febbraio o marzo, avrà la possibilità di usufruirne per gli otto mesi successivi, nei quali però non potrà rifiutare eventuali proposte di lavoro.

Come si spiega questa scelta temporale?

In Italia i sussidi a favore di chi perdeva il lavoro erano sempre circoscritti nel tempo, a termine, non sono mai stati a tempo indeterminato, come ormai stava diventando il Reddito di cittadinanza. La scelta di 8 mesi al massimo non è dettata da intenzioni punitive verso queste persone. Il Rdc, secondo me, stava, e sta tuttora, cambiando la cultura del popolo italiano, secondo l’assunto che intanto si prende il reddito e poi si cerca magari un lavoro in nero. Noi invece, avendo raccolto il grido di tantissime aziende alle prese con una forte carenza di personale, vogliamo spronare queste persone ad entrare nel mercato del lavoro.

A tal fine si vuole puntare molto sulla formazione dei percettori?

Sì, perché in moltissimi casi si tratta di persone con bassa scolarità. Occorre riqualificarle alla luce delle tante mansioni che oggi risultano scoperte o introvabili. Vogliamo far ripartire una catena virtuosa, attraverso una formazione gestita a livello centrale, ma soprattutto a livello locale, dove si ha maggiore contezza dei veri fabbisogni lavorativi.

Quindi bisognerà rilanciare l’attività dei Centri per l’impiego?

Non mi aspetto che fra 8 mesi tutti i 400mila beneficiari che sono in condizione di poter lavorare troveranno un impiego, ma mi aspetto che chi riceve una forma assistenziale e può andare a lavorare sia davvero incentivato e aiutato a farlo.

Il Reddito di cittadinanza è nato ibrido: un po’ misura di welfare, un po’ misura di politica attiva. Sul lato del contrasto alla povertà, la misura verrà ancora gestita a livello centrale o saranno coinvolti di più i Comuni, magari con l’aiuto del terzo settore, per individuare meglio i casi reali di povertà?

Noi vogliamo puntare con decisione sulle politiche attive per evitare che il reddito sia distribuito indiscriminatamente invece che solo a chi non poteva lavorare. Il nostro intento, nel contesto assistenziale del Reddito di cittadinanza, è proprio quello di andare a individuare una platea diversa. Senza dimenticare che in Italia è sempre esistita, operando efficacemente, una formidabile filiera assistenziale, che va potenziata: ogni euro investito nel terzo settore genera una leva esponenziale dieci volte superiore. Il volontariato deve accompagnare i Comuni e gli enti locali nella battaglia contro la povertà, cercando di dare una risposta migliore.

E l’accentramento nelle mani dell’Inps?

Credo che l’accentramento all’Inps e l’erogazione dei contributi a pioggia senza alcun filtro, senza alcuna valutazione, entrambe scelte politiche volute dal M5s, abbiano fatto crescere tanti furbetti del Reddito e tante truffe contro lo Stato. Ridare forza a enti locali e terzo settore può aiutare meglio a fermare questo male, che vorrei ricordarlo è in crescita, della povertà, contro cui non bastano solo le soluzioni assistenziali, che vanno accompagnate con politiche di inserimento nel mondo del lavoro.

E sul fronte dell’incentivare al lavoro chi può, va in questa direzione la scelta della decontribuzione per le aziende che assumeranno anche i percettori del reddito?

Senza dubbio.

Verrà dato più spazio anche alle Agenzie per il lavoro?

Escluderle, metterle nell’angolo, nel 2018 è stato il grande errore. I Centri per l’impiego non erano pronti e i navigator non potevano esaudire la richiesta di matching fra domanda e offerta. Non si improvvisano le competenze o gli strumenti. Uno degli asset fondamentali della nostra riforma sarà sicuramente quello di coinvolgere le Agenzie per il lavoro perché hanno una visione e un raggio d’azione più consolidato. I Centri per l’impiego soddisfano circa il 3% del matching domanda/offerta, mentre le Agenzie per il lavoro toccano il 30%. Sono numeri che non si possono trascurare o mettere da parte…

Perché sono stati reintrodotti i voucher nei settori agricoltura, turismo e lavori domestici fino a 10mila euro?

Semplicemente perché servono. Ce li chiedono interi settori come l’agricoltura, il turismo o i servizi alla persona, perché hanno lavori stagionali e non possono permettersi contratti lunghi, altrimenti ammazziamo le nostre aziende sotto una burocrazia e un pregiudizio che non possiamo più permetterci.  

Cosa ribatte alle critiche dei sindacati, Cgil in testa, che vedono i voucher quali soldi legali per lavori illegali, o quantomeno per precariati diffusi?

È un’obiezione ideologica sbagliata. Mi perdoni: vogliono mettere il salario minimo, poi gridano contro i voucher che permettono alle aziende e alle persone impegnate nelle attività stagionali o saltuarie di poter lavorare ricevendo un giusto compenso? Immettendo voucher, non a vita, ma fino a 45 giornate e fino a 10mila euro non sconquassiamo nulla, anzi combattiamo proprio il lavoro nero. Poi, sia chiaro, tutti gli strumenti si possono migliorare, e noi siamo pronti al confronto.

(Marco Biscella)

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