L’articolo 108 della Legge di bilancio, nella sua formulazione attuale, introduce inutili complicazioni per le associazioni, in un periodo nel quale il Terzo settore ha altro a cui pensare: alla pandemia, con tutto ciò che sta chiedendo a questi enti impegnati su moltissimi fronti a fianco delle persone in difficoltà, si aggiunge l’entrata della riforma del Terzo settore nella sua fase conclusiva, con le incertezze che caratterizzano i momenti di passaggio. Questo in particolare.
Tante aggregazioni sociali, primo fra tutti il Forum Terzo settore, hanno chiesto la cancellazione di questo articolo, che non porta denaro nelle casse dello Stato, ma toglie tempo ed energia – e dunque risorse – agli enti. Di che si tratta?
Di un apparentemente inoffensivo passaggio delle entrate delle attività fatte nei confronti dei soci dalla non rilevanza ai fini Iva all’esenzione da Iva. Questo passaggio è tutt’altro che neutro.
Non lo è dal punto di vista culturale: le attività coinvolte in questo intervento legislativo sono quelle tra soci che mutualmente condividono beni e servizi, in un modello più simile a quello dell’autoconsumo che a quello dello scambio, che è invece tipico del mondo imprenditoriale. L’ingresso nel mondo Iva sottrarrebbe queste attività al loro contesto originario e autentico, che non è quello del mercato.
Non lo è dal punto di vista dell’aggravio burocratico. Le associazioni dovrebbero aprire la partita Iva ed essere dunque assoggettate agli adempimenti conseguenti. Che non sono pochi, necessitano dell’aiuto di qualcuno che li sappia fare o di un commercialista, e dunque distraggono risorse da destinarsi alla mission, convogliandole verso la copertura dei costi della burocrazia.
E tutto ciò mentre si sta attuando la riforma del Terzo Settore che, ricordiamolo, ha tra i propri obiettivi una generale semplificazione di adempimenti.
C’è poi un ulteriore problema, che non è solo un tecnicismo: le associazioni si troverebbero a svolgere attività considerate commerciali – seppur in esenzione – ai fini Iva e non commerciali ai fini delle imposte dirette, con tutte le complicazioni che abbiamo già incontrato per le Onlus in merito alla definizione tributaria del soggetto.
La riforma del Terzo settore dovrebbe portare, in tempi ancora incerti, a un generale riordino dell’impostazione tributaria degli enti.
È questa la parte della riforma più indietro nell’attuazione e che necessita di tanti chiarimenti, e probabilmente anche qualche intervento legislativo.
In una situazione del genere il buon senso porterebbe a non adottare provvedimenti relativi alla fiscalità degli Ets, se non in quanto motivati da questioni di urgenza.
Tale urgenza non ci sembra ravvisabile nella procedura di infrazione, che pur è richiamata quale giustificazione dell’articolo 108 di cui stiamo trattando.
Nella relazione semestrale al Parlamento e alla Corte dei conti del primo semestre 2019, recante “Impatto finanziario del contenzioso Italia/Ue”, si legge che la procedura è allo stadio di messa in mora complementare, dunque in fase precedente al contenzioso giudiziario.
Il mondo del Terzo settore non sta chiedendo privilegi. Sta chiedendo che non gli si butti addosso dell’inutile burocrazia. Anche questa volta va ascoltato.