Una Legge di bilancio da 60 miliardi di euro, 40 di tagli alle spese, metà dallo Stato centrale e metà dalle amministrazioni locali, congelamento per sei mesi delle pensioni; altri 20 miliardi saranno frutto di aumenti delle entrate, con una sovrattassa sui benefici delle grandi imprese e un contributo eccezionale richiesto alle maggiori fortune. Non vi allarmate, non sono le misure di Giancarlo Giorgetti, ma quelle di Michel Barnier il Primo ministro francese. Una bomba che potrebbe far deflagrare l’instabile Governo, però la Francia è sotto proceduta d’infrazione e Barnier intende uscirne al più presto. Anche l’Italia si trova nella stessa situazione, i risparmi chiesti dal ministro dell’Economia sono inferiori, una ventina di miliardi, tre volte meno che in Francia, tuttavia suona già l’allarme.
Niente tassa sugli extraprofitti, per Tajani è roba da Unione sovietica. Non tocchiamo le pensioni, Matteo Salvini rischia un infarto. Non parliamo di sacrifici, Arianna Meloni non vuole. Guai a pronunciare l’odiata austerità, La maggioranza è già in crisi di nervi, l’opposizione rulla i tamburi di guerra. Eppure Giorgetti va avanti per la sua strada e si mostra tranquillo. Sa bene che non ci sono alternative al rigore nei conti: anche l’Italia deve chiudere rapidamente la procedura europea per riprendere la via della crescita.
La revisione del prodotto lordo ha fatto tanto parlare di come l’Italia sia andata meglio della stessa Francia non solo della Germania, ma ciò riguarda il passato. Il presente è ben più modesto, il futuro incerto e preoccupante. Nei primi sei mesi dell’anno l’economia italiana ha acquisito un amento del Pil dello 0,4%, e non dello 0,6% calcolato finora. La rettifica diffusa dall’Istat taglia di due decimali le performance realizzate nei primi sei mesi dell’anno: e soprattutto solleva incognite pesanti sul +1% di crescita confermato dal Governo nel nuovo Piano strutturale di bilancio all’esame del Parlamento.
La sicurezza mostrata da Giorgetti non può basarsi solo sulle aride cifre. Il ministro non è un kamikaze, si è sempre mosso con molta cautela politica. I giornali scrivono di una presidente del Consiglio preoccupata e scontenta. Ma si stenta a credere che l’uomo al quale è affidato il Tesoro della nazione non abbia il consenso del capo del Governo.
Giorgia Meloni ha telefonato a Elly Schlein sulla crisi in Medio Oriente. “È un momento difficile, dobbiamo stare uniti”, ha detto richiamando l’opposizione a un atteggiamento responsabile. La stessa responsabilità dovrebbe riguardare la politica economica.
Ciascuno faccia la propria parte, la maggioranza deve smettere di innalzare bandierine controvento e l’opposizione dovrebbe rendersi conto che stiamo camminando su un ponte tibetano. Questo autunno sarà segnato dalla crisi dell’industria italiana, il crollo della produzione di auto porta con sé l’intera componentistica, ma è in grave sofferenza un altro settore fondamentale del Made in Italy come il tessile e la moda, mentre l’edilizia barcolla senza più la droga del Superbonus 110%.
Tutto questo si scaricherà anche sui conti pubblici e sulla crescita. Meno domanda, meno produzione, meno salari e meno utili; le entrate che grazie alla crescita e all’effetto automatico dell’inflazione erano andate oltre le attese, si ridurranno, mentre aumenteranno le spese indispensabili si pensi solo alla cassa integrazione straordinaria che ricade sul bilancio dello Stato.
L’Italia nel suo insieme, non solo questo Governo, è attesa all’esame dell’Unione europea e dei mercati. Tra due settimane dovrebbero arrivare le pagelle delle società di rating le quali stanno valutato la credibilità della politica fiscale per giudicare la sostenibilità di un debito pubblico che aumenta e la tenuta del paese nel suo complesso.
Un’opposizione seria non deve rinunciare al suo mestiere che è quello di opporsi, ma deve farlo entrando nel merito, accettando una cornice che è effetto della situazione oggettiva non delle bizze di un ministro o di un Governo. Ciò vuol dire che anche l’opposizione, nel sostenere le sue proposte, deve indicare chiaramente dove trovare le risorse. Pochi la rispettano, ma è una norma inserita in Costituzione dal Governo Monti.
Articolo 81: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”. Il secondo comma spiega che alla regola generale dell’equilibrio è possibile derogare solo per gli effetti della congiuntura ed eventi eccezionali. La pandemia ha prodotto un aumento enorme dell’indebitamento, ma finita la pandemia non c’è stato nessun ritorno alla regola costituzionale: il debito era di 2.410 miliardi di euro nel 2019, è arrivato a 2.960 miliardi.
Non è una querelle da giuristi, è la scelta di fondo in base alla quale un Paese appare serio e affidabile. Nessuno, nemmeno chi si lagna perché vorrebbe spendere di più per accontentare i propri elettori, può sfuggire a questo criterio base. Per tornare alla Francia vedremo se un Parlamento lacerato e confuso risponderà all’appello di Barnier. Già si levano alti i primi lamenti. Ma vedremo ancor più se l’Italia, pronta a vantarsi quando la nave va, saprà fare altrettanto bene quando arriva il mare grosso.
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