Tanto tuonò che non piovve: da quel che è stato annunciato sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza si sa con certezza soltanto che l’aumento dell’Iva temuto dal prossimo gennaio è stato “sterilizzato” (che brutta espressione) dal governo Conte-2 mediante l’individuazione di altri cespiti nel bilancio dello Stato che avranno un valore equivalente, 21 miliardi.



Al totale della manovra, 30 miliardi, il Governo conta di arrivare mediante un po’ (poca) di spending review, un po’ di recupero dell’evasione connesso anche agli incentivi all’uso del contante, qualche minimissimo ritocco ad alcuni sgravi fiscali e la maggior flessibilità europea promessa dalla Commissione von der Leyen. Quindi l’unico impegno vero è il rinvio di un altro anno dell’aumento Iva. Sulle altre cose, tutto è ancora da chiarire, a parte due dati politici di contorno: l’entusiasmo del Premier, che ha detto di non volersi accontentare ma di voler “far volare” il Paese, e qui c’è da scommettere sulla satira di Crozza & compagni, a proposito di questo nuovo “Mister Volare” italiano dopo Modugno; e le forti discrasie interne alla maggioranza, con il Pd che vedeva di buon occhio non un congelamento dell’Iva, ma una rimodulazione delle aliquote che sgravasse i redditi bassi calcando la mano sui consumi di lusso che sono alla portata dei soli redditi più alti e i Cinquestelle e Renzi che hanno detto niet.



Quindi la sostanza è che il Governo fa e farà quel po’ che può fare, grazie alla buona volontà di alcuni dei suoi attori, sicuramente Conte e anche il ministro dell’Economia Gualtieri, almeno in queste materie; ma il quadro politico deprimente in cui tutto questo è nato e procede si conferma nel suo squallore di fondo, connotato com’è da veti incrociati, diffidenze, sospetti e nell’insieme un generale clima di campagna elettorale permanente, sia pur meno convulso degli ultimi sei mesi del Conte 1, dove però almeno c’era la scadenza del voto europeo a legittimarlo.



Qui è chiaro che da una parte i Cinquestelle, dall’altra Renzi e buon ultimo il Pd – in massimo imbarazzo – cercano di dire agli italiani che il merito delle cose buone o presunte tali che il Governo può fare è tutto loro, per accaparrarsi consensi futuri, o magari voti alle regionali che costellano il calendario dei prossimi mesi.

L’opposizione trova nella voce di Matteo Salvini una nota per ora ancora fioca, perché è talmente fresco nella mente degli italiani il ricordo della pazza estate con cui la Lega ha segato il ramo dov’era seduta aprendo una crisi per vincerla e poi invece perdendola che il leader, come già accaduto all’altro Matteo, sconterà per qualche tempo un po’ di opacità. Se non con i fedelissimi, senz’altro con quella vasta fascia di opinione pubblica moderata che, spostandosi tra Lega il non-voto e ormai anche il dichiaratamente centrista Renzi, fa la differenza nelle urne.

Certo, Salvini non è solo: con lui c’è la Meloni che parla bene ma a pochi perché è individualmente convincente ma si accompagna male; e Berlusconi che ha appena festeggiato l’83esimo compleanno: e questo dice tutto. Dunque la vera prospettiva è quella di un tran-tran di minipolitica, di qualche durata, sicuramente almeno fino alla stagione delle nomine in alcune delle principali società italiane a controllo statale, che si aprirà a marzo per concludersi in giugno e che vedrà una grandissima spartizione tra gli attuali alleati di governo, felici almeno di escludere gli altri dal banchetto.

C’è da affidarsi speranzosi alla serietà personale di Gualtieri affinché si seguano almeno un po’ dei criteri di meritocrazia, ma la speranza è in questi casi molto fragile. E d’altronde che Matteo Renzi avesse ben in mente le oltre 200 poltrone da rinnovare in primavera quando ha fatto la sua mossa del cavallo, rinnovando l’alleanza di governo e scindendosi dal Pd, era chiaro e anzi quasi enunciato dal principio. Sicuramente adesso passerà all’incasso.