Egregio direttore,
il ministro della Salute Orazio Schillaci si è forse iscritto (o intende iscriversi) al Partito democratico? Faccio (virtualmente) a Lei questa domanda, Lei che è sicuramente più attento alle vicende della politica e più informato di me, perché è il primo pensiero che mi è venuto quando ho letto sui quotidiani il resoconto dell’incontro che si è tenuto qualche giorno fa a Sabaudia con il titolo “Come salvare la sanità” nel quale il ministro è intervenuto nell’ambito della rassegna culturale “Mediterranea – La civiltà blu”.



Non credendo ai miei occhi ho voluto verificare di persona ed ho trovato nel web il video dell’incontro: così ho potuto ascoltare dalla voce diretta del ministro la frase che credevo fosse stata erroneamente riportata dai quotidiani. Quale è il busillis?

In una mia precedente lettera al Sussidiario avevo criticato la proposta del Pd di portare il Fondo sanitario nazionale (FSN) al 7,5% del PIL, e la ragione della critica risiedeva nella assoluta mancanza di copertura economica della proposta, in quanto veniva indicato l’obiettivo ma non la strada per raggiungerlo, e cioè non si diceva dove si dovevano trovare (o prendere) le risorse economiche per arrivare al 7,5% del PIL. E cosa ha fatto il ministro Schillaci? Ha detto innanzitutto che la sanità italiana ha bisogno di più soldi, e fin qui credo che tutti siamo d’accordo, ma il prof. Schillaci si è spinto ben oltre perché ha testualmente affermato che il livello minimo su cui ci si deve attestare è che il FSN sia il 7% del PIL. Ma se il 7% del PIL è il livello “minimo”, ecco che allora l’idea del ministro è perfettamente in linea con il 7,5% del PIL proposto dal Pd. Da qui la mia conclusione che il ministro potesse avere cambiato casacca: certo non siamo ancora al 8% reclamato dal Movimento 5 stelle, ma anche il 7-7,5% è una bella quota.



Visto però che in questi anni, durante il suo incarico di ministro della Salute, il finanziamento del servizio sanitario non è andato esattamente nella direzione dell’aumento del rapporto percentuale tra spesa e PIL bensì “in direzione ostinata e contraria” (De Andrè, 2005) allora mi sono chiesto: ma ne avrà parlato con il ministro Giorgetti (il detentore della cassa)? Immediata (in questo virtuale colloquio tra me e lui) la risposta di Schillaci (sempre nello stesso incontro di Sabaudia): certo, con il ministro Giorgetti ci siamo incontrati per più di un’ora ed abbiamo convenuto che la sanità deve essere al centro dell’agenda politica. Sì, va bene essere al centro, dico io, ma si è parlato di soldi e finanziamento? No, dice Schillaci, “non abbiamo parlato di soldi ma di priorità”, e ha aggiunto “io penso che anche nella finanziaria ci sarà spazio”. Certo che nella finanziaria ci sarà spazio, visto che alla sua scrittura mancano ancora alcuni mesi, ed immagino che diverse pagine siano per ora prive di reali contenuti, ma si tratta di capire cosa si scriverà alla fine in queste pagine, anche alla luce di “un contesto europeo radicalmente rinnovato con l’entrata in vigore della riforma del Patto di stabilità e di crescita”, patto che anche la Corte dei conti (Sezione Autonomie, gestione finanziaria 2020-2023 di Regioni e Province, 1.8.2024) vede “caratterizzato da stringenti vincoli”.



Se adesso siamo al 6,3% del PIL (o giù di lì), per arrivare al 7% del PIL ci sono solo due strade:

– sperare in un tracollo dell’economia in modo che, diminuendo drasticamente il PIL, con gli stessi soldi messi oggi in sanità salirebbe il rapporto percentuale tra spesa sanitaria e PIL a più del 7%, ma è evidente che questa sarebbe una prospettiva drammatica (e non auspicabile) per il Paese;

– trovare più risorse per la sanità, il che implica necessariamente (non potendo stampare moneta) che le risorse in più vanno tolte ad altri (si accettano volontari in proposito), a meno che si pensi o a nuove tasse o alla solita (fallimentare) prospettiva di recupero dell’evasione fiscale o alla più facile strategia (anch’essa poco auspicabile oltre che chiaramente contrastata dall’Europa) dell’aumento del debito pubblico.

Ha detto molte altre cose il ministro in quell’incontro: dalla preoccupazione per la ripresa del Covid alle attività previste dal recente decreto sulle liste di attesa, dall’aumento dei compensi al personale (direttori, medici, infermieri, …) alla riforma della rete ospedaliera e soprattutto della sanità territoriale (grazie al PNRR), dalla revisione delle modalità di remunerazione delle attività ospedaliere (i DRG) al divisivo tema della autonomia differenziata, dalla necessità di rivitalizzazione della medicina generale ad un ruolo più ampio per le attività delle farmacie, dall’affronto del problema della antibiotico-resistenza al ruolo della sanità privata. Una intervista molto ampia, con l’indicazione sia di attività per le quali sono previsti dei provvedimenti a breve, collegati addirittura alla prossima finanziaria, sia di linee di indirizzo di più lunga portata che possono costituire capitoli di una potenziale, futura, riforma dell’intero SSN.

Per realizzare quello che il ministro ha proposto o si pensa, come al solito, che si facciano le nozze con i fichi secchi oppure bisogna trovare le risorse: non basta che tra ministri si parli, magari anche a lungo, di priorità, occorre che Schillaci convinca Giorgetti (e più in generale tutto l’attuale governo) che quanto messo nelle precedenti finanziarie non è sufficiente.

Azzardo un pronostico: non la vedo bene (ma mi auguro di essere smentito).

 

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