Dopo gli incontri con le Parti sociali, prosegue il lavoro, non si capisce quanto unitario, del Governo per mettere a punto la Legge di bilancio. Se Matteo Salvini vuole una manovra vera, con soldi veri per opere pubbliche e infrastruttura, sindacati e imprese sembrano essere d’accordo con il Premier sulla necessità di abbassare il cuneo fiscale. Giuseppe Conte ritiene infatti sia una mossa importante per porre rimedio al fatto che “il potere d’acquisto delle famiglie ha subito una sensibile contrazione” negli ultimi anni. Può essere questo intervento quello giusto per il Paese? «In Italia le aspettative sono congelate per via di tanti anni di politiche economiche fatte all’interno di una cornice fiscale molto chiara. Il problema vero quindi è chiedersi se e come qualsiasi politica economica verrà proposta dal Governo avrà la capacità di sbloccare questo permanente e pervadente pessimismo nelle aspettative che ritroviamo come trend, al di là dei piccoli saliscendi mensili. Tutto questo ha una conseguenza molto semplice», ci dice Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.



Qual è questa conseguenza?

Ormai la gente, a mio avviso giustamente, non guarda più al singolo provvedimento, ma vuole sentirsi dire quale sarà il pacchetto complessivo di misure. E in questo caso per un motivo quanto meno evidente. Tenendo conto delle dichiarazioni su cuneo fiscale, clausole di salvaguardia, salario minimo arriviamo a un manovra con un deficit tra il 3,5% il 4% del Pil. Forse solo nella nota di aggiornamento al Def di fine settembre capiremo cos’ha in mente Tria per rientrare al 2%. Potrebbero servire 35 miliardi di euro, che possono venire o dal riaggiustamento di altre imposte, dalla revisione delle tax expenditures, o da tagli di spesa, che non possono che essere lineari e che probabilmente finiranno per toccare la parte più importante e più potente per il rilancio del Paese: gli investimenti pubblici.



Per il Premier sembra importante intervenire per aumentare il potere d’acquisto delle famiglie. Non è d’accordo?

Mi colpisce molto quest’enfasi di Conte sull’aiutare il potere d’acquisto delle famiglie tramite un abbassamento del cuneo fiscale. Il problema del potere d’acquisto esiste, ma non può essere risolto dal taglio del cuneo, perché è una misura che ha bisogno di trovare fonti di finanziamento che colpiranno comunque le famiglie. Un Paese che ha bisogno di far crescere il potere d’acquisto delle famiglie deve farlo aumentando il reddito e il Pil, non a parità di prodotto abbassando la tassazione. Credo sia più efficace, a parità di tassazione, varare misure che scatenino la crescita del Pil. Per fare questo occorrono investimenti pubblici ed eventualmente tagli degli sprechi. Ma queste due mosse sono evidentemente sparite completamente dall’agenda del Governo.



Lei dice che il Paese è bloccato, ma con il riaccendersi della guerra commerciale cui stiamo assistendo non corriamo il rischio di andare indietro piuttosto che restare fermi?

Assolutamente sì, questa è la grande colpa europea: essersi messi nelle mani del resto del mondo. Avevamo bisogno di un’Europa forte per contare al tavolo globale. Invece siamo sul menù del tavolo globale per un semplice motivo: non dettiamo il nostro futuro perché al contrario di Cina, Usa e Russia abbiamo rinunciato a una cosa essenziale che è la nostra costituzione fiscale in momenti di difficoltà. Quindi mentre Trump si può permettere ampi deficit e la Cina può usare la leva del cambio e assorbire almeno in parte le tensioni, noi abbiamo rinunciato ad agire sul cambio, perché la Bce non lo deve toccare, e alle politiche fiscali espansive.

In pratica rischiamo più delle stesse parti in causa in questa guerra…

Sì, ci troveremo ad affrontare un 2020 paradossalmente più difficile di quello che avranno davanti Usa e Cina. Ovviamente i contraccolpi più duri li avranno quei paesi, come l’Italia, dove la crescita del Pil è più bassa. Credo che i nodi verranno al pettine in termini di tensione politiche, in particolare sulla base imprenditoriale del nord, quando questa guerra produrrà i suoi effetti più acuti. Ricordiamoci che il nord è già colpito dal rallentamento dell’economia tedesca. Si sommano quindi una serie di criticità che rendono il 2020 un anno particolarmente pericoloso, per affrontare il quale non bastano provvedimenti ad hoc, una tantum, non strutturali, incapaci di influenzare positivamente le aspettative.

Ci saranno anche ripercussioni politiche, visto che le parti più produttive del nord sono il principale bacino elettorato di uno dei partiti di maggioranza?

È chiaro che si tratta di un elettorato potenzialmente favorevole alla Lega e che in nome di questo favor è disposta a sopportate tanto, ma credo che ci sia un limite, come si è toccato con mano nel caso dei 5 Stelle. Il problema vero è che non mi sembra che l’opposizione abbia capito quale sia la politica economica che serve al Paese.

In che senso professore?

Continua a perorare la causa, lo abbiamo visto nel contesto della nomina di Ursula von der Leyen, di una politica fiscale assolutamente non espansiva. Quindi ci ritroviamo una serie di partiti che volenti o nolenti non si battono per le politiche fiscali di cui ha bisogno il Paese. Certo non è facile: aveva cominciato bene questo Governo cancellando nei fatti il Fiscal compact, ma mi sembra che abbia fatto 30 senza fare 31. Anzi, cominciando poi a tornare verso 29.

C’è quindi una sorta di “concorso di colpa” tra le scelte dell’Italia e quelle dell’Ue. Rispetto a queste ultime, ritiene che il problema stia nel modo in cui è fatta l’Europa o da come viene guidata da Paesi come la Germania che rifiutano politiche fiscali espansive?

Per certi versi l’Europa è una somma di singoli paesi che decidono. E lo fanno in maniera miope, nel senso che i paesi che si trovano bene non vengono incontro al dolore di quelli che stanno male, non ricordandosi che un giorno toccherà a loro, ma a quel punto sarà tardi perché si troveranno di fronte ad altri che gli ricorderanno la loro ingratitudine. Siamo certamente in un circolo vizioso in cui dire che la colpa è effettivamente dell’Ue è un po’ riduttivo, perché l’Europa l’abbiamo costruita e continuiamo a costruirla noi coi nostri singoli atti. Certo fa abbastanza specie una decisione europea di pochi giorni fa.

A che cosa si riferisce?

Al fatto che l’Europa ha indicato Kristalina Georgieva per sostituire Christine Lagarde alla guida del Fondo monetario internazionale e non Jeroen Dijsselbloem, ex Presidente dell’Eurogruppo, rimproverandogli le politiche di austerità promosse negli ultimi anni. Bella soddisfazione! Sarebbe stato molto più coraggioso combattere al tempo la battaglia sulla questione principe e non togliersi una minuscola soddisfazione ora continuando intanto ad accettare di fatto l’austerità. Mi sembra quindi che abbiamo un’Europa modesta e mediocre, fatta di tante piccole mediocrità.

La nuova legislatura europea è appena iniziata: secondo lei potrà segnare una svolta o avremo altri 5 anni come gli ultimi?

Bisognerà intanto vedere cosa conterrà la Nota di aggiornamento al Def e quando la nuova Commissione comincerà a entrare a piedi uniti sulla gestione della politica fiscale italiana. Certo che se il buongiorno si vede dal mattino… La scelta della von der Leyen è stata a mio avviso sbagliata. Ci sono stati casi in cui persone che si presentavano con un curriculum “negativo” per certi aspetti hanno poi trovato un senso della leadership particolare trasformandosi. Non escludo che questo possa essere il caso della nuova Presidente della Commissione, ma non mi aspetto purtroppo molto.

Perché?

La grandissima occasione fornita dal voto del popolo europeo di muoversi verso un ambito di maggiore solidarietà è stata stupidamente gettata via non chiedendo ai verdi di entrare a far parte della maggioranza. Un errore a mio avviso gravissimo, che si ripercuoterà con enorme probabilità su un quinquennio che poteva essere di grande speranza e che, dato anche il contesto internazionale, vedo invece con più rischi. Tutto questo può avere conseguenze politiche importanti: credo che tra cinque anni il gradimento dei cittadini per l’Ue potrà trovarsi sotto i livelli già abbastanza scarsi di oggi. Con tutto quel che questo vuol dire rispetto alla possibilità che il progetto europeo si sfaldi.

(Lorenzo Torrisi)