Siamo in dirittura d’arrivo con la legge di Bilancio, con l’analisi degli oltre 700 emendamenti da discutere (erano mille, in prima battuta). Così forse si riuscirà a capire meglio la natura della manovra, e anche il posto della famiglia tra le varie priorità selezionate. Anche se tutti si aspettano ancora sorprese dell’ultimo minuto, con misure che improvvisamente scompaiono e altre che misteriosamente emergono.
Ormai siamo abituati al cosiddetto “assalto alla diligenza”, che di fatto ha sempre stravolto le manovre economiche, rendendole, più che un vestito di alta sartoria, armonico e proporzionato, un vestito da Arlecchino, dove pezze e toppe sono assemblate a caso. Forse la vera novità di questo governo è che le stesse forze di maggioranza hanno partecipato con gioioso entusiasmo ad assaltare il disegno stesso della manovra da loro proposto. Per poter rivendicare di aver messo la toppa più grossa, o più colorata. E non pare proprio una bella novità!
Se pensiamo alle scelte di politica familiare, poi, la prima grossa delusione è già arrivata quasi subito, quando è stato chiaro che di assegno per il figlio se ne parlerà più tardi. Altro dejà vu, nelle altre leggi di Stabilità: “Bella la famiglia, ma ripassate più tardi”.
Ha fatto bene il Forum delle associazioni familiari a portare i passeggini vuoti davanti al Parlamento, nelle scorse settimane, per ricordare quanto sia decisiva la vertenza famiglia, di fronte a una crisi demografica che è anche crisi di speranza. Ma la politica è sorda, lontana, e forse ci vorranno parole più forti e più gridate, da parte delle famiglie.
Intanto, nel merito di quanto oggi è allocato per la famiglia, i servizi che forse saranno premiati sono interessanti: sostegno agli asili nido, più congedi parentali, qualche bonus mamma che sopravvive… Però qualche magagna è prevedibile (e qualche ulteriore sorpresa non si può escludere).
Per esempio, gli interventi a sostegno dell’asilo nido sono finanziati in misura ben inferiore a quanto promesso dallo slogan “asili nido gratuiti”, strombazzato qualche settimana fa. Poche famiglie saranno sostenute, in misura decrescente secondo il reddito. E quelle poche vivono prevedibilmente in territori dove ci sono già servizi: le regioni del Nord, che sono più ricche di asili e di servizi per l’infanzia. Per il Sud, invece, dove questi servizi sono marginali (a volte quasi assenti), la scelta di premiare “servizi”, anziché di sostenere la responsabilità e la libertà di scelta delle famiglie, rischia di impoverire ulteriormente i territori e di aggravare le disuguaglianze territoriali. Insomma, anziché dare più risorse alle famiglie, per lasciare loro libertà di scelta, in modo sussidiario, si sostiene prima di tutto un intervento pubblico, aggravando le disuguaglianze che già oggi il sistema pubblico genera.
Nel complesso anche questa legge di Bilancio lascia la famiglia tra le “non priorità” del governo; ma questo è in fondo inevitabile, perché per sviluppare politiche della famiglia serve un vero cambio di paradigma: bisogna essere convinti che la famiglia è una risorsa (e non un costo sociale), che ha responsabilità e creatività (anziché bisogni da soddisfare con nuovi servizi), che una famiglia solida genera valore sociale ed economico, un valore aggiunto nella produzione di un Prodotto interno lordo che non è solo economico-finanziario, ma riguarda la produzione di coesione sociale, speranza, progetto e solidarietà.
Allora, più che preoccuparsi di cosa tassare o cosa agevolare, in una logica paternalistica statocentrica, servirebbe investire sulla famiglia e sui bambini, perché dalla generatività familiare rinasce anche la generatività sociale.
Se non si mette la famiglia al centro, si arriva al paradosso, umoristico ma anche drammatico, in questo caso del Movimento 5 Stelle, di riconoscere che il blocco della natalità è un problema strategico per il futuro del Paese, e insieme di proporre agevolazioni fiscali a favore dei profilattici.
Non è solo un eccesso di creatività nelle politiche fiscali: è proprio l’idea che solo le leggi o lo Stato scelgono il bene delle persone, che non sono più cittadini attivi, ma “sudditi” di un potere. Invece alle famiglie serve libertà.