La famiglia? E’ il “petrolio d’Italia”. Così la definisce Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, perché proprio dalle famiglie “arriva l’energia di cui non possiamo assolutamente fare a meno”. Peccato che spesso alle parole, ai proclami e alle promesse, siano seguiti pochi fatti. E anche la manovra di bilancio attualmente in discussione rischia di seguire il solito “approccio poo sussidiario”.



Oggi invece serve “un cambio di mentalità”, possibile e doveroso, altrimenti “si continueranno a offrire alle famiglie solo pannicelli caldi, con il rischio che non possano essere mai messe in condizione di realizzare se stesse”. Dovendo fare i conti con poche risorse, De Palo suggerisce di “puntare forte sull’assegno unico universale, rendendolo un capolavoro”.



Poi, si potrebbe pensare a trovare una buona mediazione tra “miglioramento dell’assegno unico universale, introduzione del quoziente familiare e abolizione dell’Isee” con dei coefficienti che tengano conto in misura giusta e adeguata dell’incidenza dei figli, che sono un bene per tutti”. E proprio per cercare di far uscire il nostro paese dal suo lungo inverno demografico, “la natalità merita un piano su misura: noi abbiamo proposto l’anno scorso quota 500mila nuovi nati, un obiettivo da raggiungere da qui al 2033”.

Due anni di Covid in cui hanno dovuto tenere botta e oggi si ritrovano nel pieno di un’inflazione in cui rincara tutto, dagli alimentari alle bollette. Che segni sta lasciando questa lunga crisi sulla pelle delle famiglie?



In questi anni di crisi è emersa in modo ancora più chiaro che il “petrolio” d’Italia è la famiglia, della cui energia non possiamo fare assolutamente a meno. Nonostante la pandemia, nonostante la guerra, nonostante il caro bollette, le famiglie il loro continuano a farlo fino in fondo. Punto. E’ la buona notizia su cui forse varrebbe la pena riflettere per investire di più su questa risorsa. Se manteniamo la forza della famiglia, il paese va avanti; se crolla, e il rischio c’è, soprattutto se alle famiglie non si dà la possibilità di vivere dignitosamente, tutte le criticità vengono a galla.

Di cosa hanno bisogno allora le famiglie italiane?

Il paese ha bisogno di più sussidiarietà. Le famiglie sono quella realtà che, se non ostacolata, non si tirano indietro, tengono botta. Bisognerebbe dunque togliere tutti gli impedimenti che bloccano le famiglie nella loro piena realizzazione ed espressione, valorizzandole per quello che sono.

In concreto?

Se le famiglie, per esempio, pagassero il livello di tasse che giustamente compete loro, non in base al reddito, ma alla composizione famigliare, sarebbero aiutate davvero. Oggi come oggi invece subiscono un carico fiscale assolutamente discriminatorio, perché è come se ci fosse una tassa sulle famiglie, sui figli. L’articolo 53 della Costituzione sulla capacità contributiva viene sistematicamente disatteso. Ecco perché questa discriminazione andrebbe cancellata. E’ una tara che ci trasciniamo come mentalità, come forma mentis, e che è una costante di tutti i governi.

La famiglia è sempre al centro dei proclami della politica e nessun governo è mai riuscito a fare questo salto di qualità?

Il governo Conte, nella prima fase della pandemia, ha puntato sui ristori, i famosi 600 euro per le partite Iva. Ebbene, il massimo dei benefici, cumulati, li riceveva la partita Iva che non aveva figli, ma viveva con i genitori; chi invece aveva figli, moglie a carico e viveva in casa d’affitto prendeva solo 600 euro. Stessa cosa con il Conte 2 e con il governo Draghi: tanti bonus, senza però mai tenere in considerazione la composizione del nucleo famigliare. E questo rischio di avere un approccio poco sussidiario lo potrebbe correre anche il governo attuale.

Eppure, nel suo discorso programmatico in Parlamento, Giorgia Meloni ha parlato di aumentare gli importi dell’assegno unico universale, di garantire sostegni alle giovani coppie per i mutui per l’acquisto della prima casa, di introdurre il quoziente familiare, di voler favorire la conciliazione famiglia-lavoro. Da questo punto di vista, che cosa lascia intravvedere la manovra di bilancio attualmente in discussione?

Per la prima volta un presidente del Consiglio ha parlato in maniera diretta e immediata di questi temi, che sono davvero al centro della sua volontà politica. Non si può non riconoscere una importante novità nel linguaggio. Detto questo, il governo Meloni è in carica da un paio di mesi e nessuno ha la bacchetta magica. A mio avviso, però, si può e si deve fare di più, perché sono stati impegnati tanti soldi per le famiglie sul bonus energia, ma è stato mantenuto un Isee che va a tutelare solo le famiglie povere, dimenticandosi invece del ceto medio, un ceto medio che non viene proprio considerato.

A partire dal 2021 le politiche familiari hanno segnato alcuni passaggi strategici, come l’assegno unico universale, il Family Act e il Piano nazionale famiglia. Partiamo dall’assegno unico: misura efficace? E lo si può migliorare?

L’assegno unico va senz’altro migliorato. Prima si consolidano bene le fondamenta della casa, poi ci occuperemo degli infissi e dell’arredamento.

Fuor di metafora?

Innanzitutto e prima di tutto, bisogna investire più risorse: mettiamo sul piatto un miliardo in più per l’assegno unico, aumentando gli importi alle famiglie e garantendo la clausola di salvaguardia a quei nuclei famigliari che ci hanno rimesso. E ogni anno incrementiamo la dotazione dell’assegno unico. Poi si possono fare ragionamenti su primo figlio, figli da zero a tre anni eccetera. Altrimenti non si dà un vero segnale sulla natalità.

Il 2022 conferma l’ormai strutturale calo delle nascite, segnando un’ulteriore flessione del 3% a livello nazionale nel primo semestre dell’anno. L’Italia ha oggi una media nazionale che sfiora appena i 6,5 nati ogni mille abitanti. L’inverno demografico è una vera e propria emergenza, tanto che le proiezioni statistiche danno numeri da far rabbrividire. Come si può rilanciare la natalità?

La natalità merita un piano su misura, non si tratta di mettere qualche soldo in più per il primo figlio o per il terzo figlio, parcellizzando le poche risorse a disposizione. Oggi c’è una narrazione che lascia intendere che già si stia facendo qualcosa per invertire la tendenza demografica, ma non è così. Queste misure non vanno a impattare sul rilancio delle nascite.

Che cosa suggerisce il Forum delle Associazioni familiari?

Noi abbiamo proposto l’anno scorso, agli Stati generali della natalità, quota 500mila, cioè quello che non siamo riusciti a fare fino adesso, dando così concretezza alla parola natalità, che in caso contrario resta un’espressione generica, che non dice nulla. Quota 500mila nuovi nati è l’obiettivo che ci dobbiamo dare da qui al 2033. E’ un obiettivo raggiungibile – e lo confermano il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, o il professor Alessandro Rosina, uno dei massimi esperti di demografia e giovani –, è verificabile ed è l’unico che ci permetterà di non far crollare il sistema paese. Basta un dato per capirlo.

Quale?

Con questi tassi di natalità il Pil dell’Italia nel 2050 sarà il 27° del mondo, mentre oggi è l’ottavo, e i paesi che fanno figli non arretreranno, staranno meglio di noi. Ecco perché dico che serve un Commissario per la natalità e serve un piano per far sì che ogni anno le nascite aumentino di almeno 10mila unità. Un piano che coinvolga tutti: la politica, gli enti locali, il mondo delle banche, delle imprese…

Facile a dirsi, meno a realizzarlo. Ci sono esempi a cui guardare?

Sì, noi dobbiamo copiare Francia e Germania. Noi guardiamo all’Europa per le quisquilie e non sulle cose che funzionano. La Francia ha il quoziente familiare, grazie al quale ha raggiunto un tasso di fertilità di 1,9 figli per donna, vicinissimo al cosiddetto tasso di sostituzione.

L’idea del governo è accantonare l’Isee e adottare il quoziente familiare.

L’Isee in effetti viene utilizzato solamente per le famiglie, tutti dicono che bisogna abolirlo, non capisco che cosa si stia aspettando per farlo. Ma la cosa curiosa è che in Italia noi riusciamo a fare polemiche e distinguo pure sul quoziente familiare. Arriviamo a dire che ostacola il lavoro femminile e privilegia i ceti abbienti. Ma proprio la Francia smentisce queste obiezioni: il 77% delle donne lavora, mentre da noi siamo al 49%.

Il quoziente familiare, lo ha dichiarato Giorgia Meloni, è un obiettivo di legislatura. Come andrebbe disegnato?

Intanto andrebbe sciolta una contraddizione, perché non so proprio come si possano conciliare quoziente familiare e flat tax. Poi, si dovesse arrivare al quoziente familiare entro i prossimi 5 anni, sarebbe un bel risultato. Ma per disegnarlo, come primo passo concreto, bisognerebbe costituire un tavolo di confronto serio, con tanto di simulazioni e di numeri. Un cambio di sistema fiscale, in cui la famiglia diventa soggetto sociale ed economico, non si risolve in 4-5 giorni di lavoro, servono tempo e impegno.

E dalla Germania che cosa dovremmo imparare?

In Germania è stato fatto un investimento serio: un assegno unico superiore ai 300 euro, universale e non dipendente dall’Isee, che è un errore enorme, da abolire all’istante. Così i tedeschi sono tornati ai tassi di natalità del 1997. Insomma, gli esempi di Francia e Germania confermano che, a fronte di politiche di impatto, le risposte arrivano. Se invece ogni anno ci si limita a mettere qualcosina, benché importante, il problema non si risolve.

Quanto le misure a favore delle famiglie dovrebbero intercettare i fondi del Pnrr?

Qui sta il vero nocciolo della questione. Stiamo mettendo soldi sull’innovazione, e niente sull’innovazione delle innovazioni che è la nascita di un figlio. Stiamo mettendo soldi sulla digitalizzazione, ma non ci siamo posti il problema che non nascono pi nativi digitali. Stiamo mettendo soldi sugli asili nido, e vanno deserti i bandi perché se non nascono bambini che senso ha costruirli? All’interno del Pnrr c’è il tema della natalità? Lo abbiamo capito che l’unica certezza per il pagamento delle pensioni, al di là delle formule su Quota 100, Quota 102 o Quota 104, è la nascita delle nuove generazioni? Il Pnrr dovrebbe essere utilizzato per sostenere un piano di rilancio delle nascite, sposando in pieno, per esempio, quota 500mila.

Il Family Act sta funzionando?

Il Family Act non è stato finanziato e sarebbe stato invece necessario farlo. Resto però convinto che, potendo contare su poche risorse, meglio fare bene una cosa sola. Non serve a nulla andare avanti per mode, come è stato fatto per i congedi parentali. Io punterei forte sull’assegno unico universale, rendendolo un capolavoro, dove non conta la tipologia di contratto, dove nessuno ci rimette, dove tutte le famiglie italiane ci guadagnano. I figli sono un bene per tutti e qui sta il vero salto di qualità.

In Italia tanti giovani fanno fatica a metter su casa e famiglia. Difficoltà e paure si possono superare?

Bisogna mettere i giovani nelle condizioni di formare la famiglia negli anni giusti. Se in Italia per iniziare ad avere il primo lavoro decente si deve arrivare ai 30 anni, a 33 anni la prima casa perché si è riusciti a mettere da parte qualcosa, a 37 anni si fa il primo figlio, va a finire che ci si ferma a quello. Occorre far sì che i giovani non siano costretti sempre a chiedere in ginocchio qualcosa, ai genitori, alla società… E quando capiscono che all’estero possono realizzare i loro sogni, ci vanno e fanno i figli, perché in altri paesi i figli sono considerati un bene comune, sono la cartina di tornasole della speranza.

(Marco Biscella)

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