Al termine di un tormentone non dissimile a quelli del recente passato, la Legge di bilancio per il 2020 è arrivata in porto. È, quindi, il momento di tirare le somme sul primo prodotto di un quadripartito messo insieme poche settimane prima della stesura del disegno di legge tra forze politiche, da un lato, violentemente ostili le une contro le altre da anni e, dall’altro, frutto di scissioni da quella che era stata per circa due lustri “una casa comune”.



È importante distinguere due aspetti differenti: a) quelli di metodo e b) quelli di merito. Dal punto di vista del metodo, ci si sarebbe attesi che un Governo nato “contro” il tentativo di quella che veniva percepita e presentata come una possibile “deriva autoritaria” avrebbe dato prova di utilizzare tutta la cassetta degli attrezzi della “democrazia parlamentare” per arricchire e migliorare il disegno di legge presentato in autunno, consentendo un ampio dibattito sia nelle commissioni sia nelle aule. Tanto più che lo scorso anno, la Legge di bilancio era stata riscritta, pochi giorni prima della fine dell’anno, quasi completamente da un Governo presieduto dallo stesso Presidente del Consiglio e con il medesimo partito di maggioranza relativa (pur se allora a tradizione di destra, mentre ora a trazione di sinistra) al fine di evitare una procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea. Di conseguenza, non c’era quasi stato dibattito parlamentare.



Quest’anno, non c’era il timore dell’Ue, a cui invece il Governo presentava un volto amico, ma il dibattito è stato strozzato dalla presentazione di un maxi-emendamento di 313 pagine su cui l’Esecutivo ha posto la fiducia. Nell’emendamento c’era di tutto: alberghi, farmacie, medici, poligrafici, concessioni, spese veterinarie, carburanti, elettrodotti, piste ciclabili, investimenti locali, sicurezza nella città di Matera, stanziamenti per celebrare il centenario della fondazione del Pci, lavori in una villa a Cernusco sul Naviglio, sovvenzioni a questo e a quello.



È pessima prassi caricare la Legge di bilancio di materie che appartengono a norme di settore (e anche a provvedimenti di enti locali, soprattutto i Comuni). È ancor peggio non rendere possibile una disamina parlamentare, blindandola con la richiesta di fiducia, accompagnata da minacce, neanche tanto velate, ai parlamentari che volessero entrare nel merito di alcune di queste misure o – ancor peggio – dell’impianto del provvedimento. Può sembrare un paradosso: un Governo nato “contro” una presunta deriva autoritaria ha mostrato un volto autoritario, quasi da presidenzialismo sudamericano. Ciò non potrà non pesare sul futuro, breve o lungo, della maggioranza che sostiene l’Esecutivo.

Sabino Cassesse l’ha chiamata “una legge confusa”. Sarebbe più appropriato aggettivarla “una legge senza qualità”. Sul merito, infatti, la Legge di bilancio avrebbe dovuto avere due obiettivi gemelli: a) favorire una ripresa dell’economia reale; b) iniziare un percorso di riduzione del peso del debito pubblico sul prodotto interno lordo. I due obiettivi sono gemelli: l’alto debito rallenta la crescita, da un canto, e la bassa crescita fa crescere il debito. La manovra non ne coglie neanche uno; anzi, aumenta la pressione tributaria e il debito perché nonostante l’incremento della fiscalità persegue e prosegue nel finanziamento in disavanzo di discutibili spese di parte corrente come il “reddito di cittadinanza”.

Il dibattito, quasi interamente all’interno della maggioranza, si è incentrato sul disinnescare le clausole di salvaguardia e su una congerie di micro-tasse “etiche” per incidere sul comportamento degli italiani. Si è evitato l’aumento dell’Iva per 23 miliardi (ma ne restano 20 da trovare per la legge di bilancio dell’anno prossimo e 27 per quella dell’anno successivo) e non si è colta l’occasione di spostare la fiscalità dalle persone (fisiche e giuridiche) alle cose come sarebbe necessario in un’epoca di sempre maggiore integrazione economica internazionale in cui impera “la fiera delle tasse” (titolo di un bel libro di Giulio Tremonti e Giuseppe Vitaletti di diversi anni fa) e individui e imprese possono scegliere la fiscalità a cui soggiacere.

Il tema del debito è stato tenuto fuori dal dibattito, fornendo vaghe assicurazioni sulla sua sostenibilità e sui propositi di ridurlo gradualmente. Basta sfogliare il primo numero della nuova serie della gloriosa Rivista di Politica Economica: è interamente dedicato al tema del debito pubblico in Italia: perché è un problema e come se ne esce. I saggi presentati nel fascicolo evidenziano i chiari rischi di sottovalutare il problema: basta un piccolo episodio (anche in terre lontane come nel 1992) per innescare una crisi.

Quali le prospettive economiche che questa Legge di bilancio schiude per il prossimo anno? I maggiori centri studi italiani (Economia Reale, Prometeia, Ref) e i venti principali centri studi stranieri (tutti privati, nessuno italiano) prevedono che l’Italia continuerà a galleggiare tra stagnazione e rischi di recessione. Resta in piedi grazie a un “oligopolio collusivo” (Ue, finanza internazionale) a cui “non conviene” una crisi del Bel Paese. Le “convenienze”, però, possono mutare da un momento all’altro e il costo di sorreggere il “galleggiamento” può essere o essere percepito come troppo elevato. Siamo sull’orlo di un precipizio e le opportunità non colte in questa Legge di bilancio aumentano i pericoli, non li diminuiscono.