La Legge di bilancio è sostanzialmente definita. E questo ci consente di uscire dal processo alle intenzioni e di valutare i fatti. E la loro distanza con i buoni propositi che avevano animato la nascita del Governo giallorosso. Partiamo da questi ultimi. Gli annunci erano inequivocabili: evitare l’attuazione degli aumenti dell’Iva ereditati dalle clausole di salvaguardia contenute nella Legge di bilancio precedente; ridurre il cuneo fiscale in favore delle buste paga dei lavoratori; chiedere all’Ue di avere margini ulteriori di flessibilità da utilizzare per ampliare i margini di investimento.



Vediamo i fatti: le clausole ereditate sono state azzerate per ripristinarne altre, per un complesso di 47 miliardi tra aumenti dell’Iva e delle accise sui carburanti per il biennio 2021-22; il cuneo fiscale viene ridotto per i redditi inferiori ai 36.000 euro annui a partire dal luglio 2020, con un’aggiunta di circa 1.000 euro, su media annua; vengono previsti una miriade di interventi, con modalità che fanno invidia alle leggi finanziarie della prima repubblica, i più significativi dei quali destinati a incrementare di 300 milioni i bonus per gli asili nido. Il tutto con provvedimenti che rinviano ad altri provvedimenti; la flessibilità di bilancio “ottenuta” dall’Ue, leggi nuovi debiti a carico degli italiani, è stata utilizzata tutta per coprire la spesa corrente. Per gli investimenti vengono riciclate le somme dei vecchi impegni di spesa, e rinnovati gli incentivi in essere per le ristrutturazioni e gli ecobonus; in compenso vengono previste nuove tassazioni, che hanno subito modifiche nel corso della discussione interna alle forze che sostengono il Governo, per circa 5 miliardi.



Questa la sostanza. Evito di commentare la qualità degli interventi disposti, che non mi pare eccelsa. Mi limito a sottolineare la perfetta continuità del Governo in carica con quelli che l’hanno preceduto (e non solo per il mantenimento di quota 100 e del reddito di cittadinanza), fondati su politiche economiche basate sul presupposto che l’ampliamento del deficit pubblico rappresenti il carburante della crescita economica. E sulla previsione, rivelatasi storicamente infondata, che a cascata la ripresa della economia, e la tassazione sul reddito aggiuntivo, consentano di contenere il debito pubblico.



Un presupposto ampiamente smentito nei fatti. Per un Paese iper indebitato sul versante pubblico l’aggiunta di spesa corrente, peraltro insignificante sul totale della spesa per consumi, finisce per mantenere elevata quella dedicata a sostenere il peso degli interessi sul debito, che è la voce più esposta del bilancio annuale.

Nel silenzio più assoluto si fa finta di ignorare che, dopo tante polemiche, lo spread sui titoli pubblici è peggiorato nei mesi recenti persino rispetto alla Grecia. Nel mentre gli interessi sui prestiti, persino negativi per coloro che acquistano i bond pubblici della Germania e dei paesi nordici, consentono a queste nazioni di avere grandi spazi per fare nuovi investimenti pubblici.

Una ristrutturazione del nostro debito pubblico, contemporanea al contenimento della spesa corrente, consentirebbe di risparmiare almeno 30 miliardi di spesa per interessi da destinare al sostegno degli investimenti e delle famiglie in una prospettiva strutturale, e non di bonus annuali simili a mance e che vengono erogati con modalità che incentivano a non dichiarare i redditi reali.

Una condizione del genere consentirebbe anche di rafforzare il nostro sistema finanziario e le banche (che detengono oltre il 40% dei titoli pubblici), e darebbe certezze ai risparmiatori privati che mantengono inutilizzati circa 1,5 mila miliardi di liquidità nei conti correnti in quanto preoccupati per il futuro del nostro Paese.

Cosa ci aspetta dopo la Legge di bilancio? A sentire il Governo, e in particolare il nostro Presidente del Consiglio, un sol dell’avvenire, fatto di economia verde e di diritti arcobaleno. Non è dato comprendere il perché. Non solo per le pessimistiche previsioni sulla crescita degli organizzazioni internazionali preposte, ma perché da domani dovremo cominciare a preoccuparci di come far fronte alle nuove clausole su Iva e accise, oltre che a trovare 5 miliardi per le coperture dedicate ai debiti e agli interventi dello Stato per l’Alitalia, per l’Ilva e per la Banca Popolare di Bari. E Dio solo sa cos’altro.

Ovviamente la colpa sarà data ai governi precedenti. Figuriamoci, questi sono stati anche capaci di prendere le distanze da loro stessi, a partire dal Presidente del Consiglio. Cosa ci si può attendere dall’opposizione? Buona parte di essa teorizza esattamente la stessa politica economica del Governo, magari condita da altre promesse elettorali e toni più accesi sulle colpe dei tedeschi. Che qualcosa non funzioni qualcuno dei loro esponenti, soprattutto gli amministratori del Nord Italia, lo sta avvertendo, ma sono segnali isolati.

Intanto il fenomeno che tiene banco nel dibattito politico sono le Sardine. Un fenomeno più simile al goliardico che al politico, che evoca il ritorno all’etica applicata alla politica salvo declinarla in un programma da Stato etico dedicato solo all’attuale opposizione politica. Cosa che avviene solo in America latina. Mi sa tanto che il punto di non ritorno per il nostro Paese sia da tempo superato.