All’assemblea di Assolombarda che si è tenuta ieri, Carlo Bonomi ha chiesto al Governo interventi decisi con la Legge di bilancio, dopo che nella Nota di aggiornamento del Def sono stati indicati 2 miliardi per il taglio del cuneo fiscale, giudicati insufficienti dal leader degli industriali lombardi. “Non parlateci di nuovo umanesimo e di nuovo rinascimento, questa volta stupiteci!”, ha aggiunto rivolgendosi all’esecutivo, rappresentato in platea da alcuni ministri e dal Premier Giuseppe Conte. Non sarà una richiesta facile da esaudire, come ci conferma Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
Professore, qual è il suo giudizio sulla Nota di aggiornamento del Def?
È un documento che recepisce, altro non potrebbe fare, un barocco bizantino meccanismo di misurazione delle performance di ogni Paese. Fondamentalmente serve a evitare che scattino le clausole di salvaguardia e basta. Anche perché obiettivamente non ci sono abbastanza risorse per fare grossi programmi di sviluppo. In sintesi, è un documento degli zero virgola, dove si intuisce il desiderio di varare interventi per lo sviluppo del Paese, ma bisogna riconoscere che le risorse sono limitate.
Secondo lei si poteva fare meglio?
Il Governo qualcosa l’ha fatto. In particolare sugli investimenti pubblici c’è un aumento rispetto al 2019 ed è una novità positiva. È difficile dire se si poteva fare di meglio. Attendiamo i provvedimenti definitivi, ma ho l’impressione che le spese fiscali siano sotto tiro. Sarebbe importate capire fino a che punto, perché ridurre detrazioni, deduzioni e agevolazioni fiscali vuol dire implicitamente aumentare le tasse.
A proposito di tasse, è stimato un recupero dall’evasione pari a 7 miliardi di euro. Cosa ne pensa?
Sarebbe un risultato fantastico, sarei felice se venisse raggiunto, perché il contrasto all’evasione è effettivamente una priorità per il Paese, ma mi sembra quasi impossibile arrivarci. Questo può rappresentare un problema, perché già nella Nadef la spesa pubblica è prevista in calo, ma in assenza di una spending review che la renda efficiente il timore è che venga deteriorata la qualità dei servizi pubblici. Se non si arriva a quei sette miliardi e occorre far quadrare i conti, il timore può diventare realtà.
Prima ha parlato di meccanismo barocco bizantino per misurare le performance del Paese. A cosa si riferisce?
Io vedo che noi rispettiamo le regole e dei risultati arrivano, come la riduzione dello spread, ed è un bene, però poi vedo anche che nella Nadef si stima un output gap a -1,7% per il 2020. Vuol dire che saremo sotto il nostro potenziale di crescita dell’1,7%. È un dato che rispecchia la realtà del Paese e le sue prospettive di sviluppo? Secondo me no, sarebbe necessaria una revisione delle metodologie per calcolare questo dato. Mi auguro che arrivi un momento in cui un ministro competente come pare essere Gualtieri si tiri su le maniche e chieda di discutere della dimensione tecnica di questo edificio bizantino che abbiamo eretto nel corso degli ultimi dieci anni.
Perché secondo lei il dato indicato per l’output gap, cioè la differenza tra Pil potenziale e Pil effettivo, che serve poi per ottenere margini di flessibilità in sede europea, non rispecchia la realtà?
Mi spiego con un esempio molto semplice. Con i miei studenti l’anno scorso ho provato a fare un esercizio per misurare il Pil potenziale di un Paese. Abbiamo fatto una banale interpolazione lineare della crescita del Pil in Germania dal 1999 al 2018. Il risultato è una retta (il Pil potenziale) che va a interpolare in modo “perfetto” la crescita del Pil in Germania: in alcuni anni è sopra, in altri è sotto, ma la somma algebrica delle differenze è alla fine vicina allo zero. Facendo la stessa cosa riguardo l’Italia si vede chiaramente che la retta interpolante funziona fino al 2008.
E negli anni successivi cosa succede?
Dopo si apre una “voragine” tra il Pil effettivo e quello potenziale, di circa il -9%. Gli stessi industriali se gli venisse chiesto se il nostro Paese potrebbe produrre di più non esiterebbero a rispondere sì. Quello che manca è la domanda: quella estera viene e va e quindi gli investimenti nel settore privato a poco a poco si sono ridimensionati. Io sono convintissimo del fatto che se noi potessimo far crescere la produzione almeno della metà di quello scarto che si è creato tra Pil potenziale e Pil effettivo, molti dei nostri problemi non ci sarebbero. Quindi, misurare il Pil potenziale è un fatto tecnico, ma poi come si vede si traduce in un dato tecnico-politico. E con il Pil inchiodato si resta in stagnazione.
La crescita del Pil dello 0,6% stimata dal Governo per il 2020 le sembra credibile?
È difficile dirlo. Di certo sull’economia mondiale l’anno prossimo sentiremo il peso di due importanti eventi: la Brexit e le elezioni presidenziali americane. Non è semplice prevedere in che modo potranno condizionare il quadro economico, ma un impatto l’avranno.
(Lorenzo Torrisi)