“L’outlook per l’Italia rimane particolarmente incerto con un’economia che continua a stentare. Per quanto la maggior parte dei paesi dell’Eurozona abbia registrato un qualche rallentamento dalla metà del 2018 in avanti, quello dell’Italia è stato il più accentuato. Per questo ci aspettiamo che l’economia dell’Italia cresca di un modesto 0,2% quest’anno per poi guadagnare un po’ di velocità nel 2020 allo 0,5%. I dati del secondo trimestre confermano che l’economia è in fase di stagnazione e che gli investimenti sono in stallo. La pressoché continua instabilità politica e i disaccordi con la Ue hanno dato adito a un’incertezza persistente e a condizioni finanziarie meno favorevoli“, così le previsioni di Moody’s sulle stime di crescita del nostro Paese.
Il settore delle costruzioni è certamente uno di quelli più in difficoltà a livello internazionale. Da una recente indagine (“Top 250 International Contractors“) risulta che i migliori 250 gruppi internazionali hanno avuto nel 2018 un volume di affari di oltre 480 miliardi di dollari. Nella classifica, il Gruppo Salini Impregilo, primo fra quelli italiani, figura al 50° posto nel complesso, soprattutto per l’espansione mondiale che garantisce il 90% del fatturato, mentre i competitor europei generano almeno il 50% dei ricavi su territorio nazionale; ciò nonostante Salini Impregilo ha programmi di investimenti per 40 miliardi di dollari in Italia, al momento bloccati.
Sono tutti segnali – se ne possono trovare una miriade di altri – di un Paese nelle retrovie, solo parzialmente ascrivibili all’attuale stallo dell’economia europea, dovuta soprattutto alle tensioni Usa-Cina, i due colossi che si contendono di fatto il primato nell’economia mondiale.
In questo contesto si concretizza sempre di più il rischio di un drastico aumento dell’Iva a partire dal 2020 (dal 22% al 25,2% per l’aliquota ordinaria e dal 10% al 13% per quella agevolata), previsto da clausole di salvaguardia che si trascinano dal 2014: sempre rifinanziate e differite di anno in anno in occasione delle varie leggi di bilancio, assorbono la maggior parte delle risorse disponibili (circa 23 miliardi di euro per il prossimo anno); è uno dei motivi per cui, ad esempio, l’Italia cerca puntualmente di ottenere maggiore flessibilità sul deficit annuo, alzando le barricate contro l’Europa dei burocrati e facendoci assistere al solito teatrino di una politica nazionale agguerrita contro un’Europa che non vuole sentire ragioni da parte di un Paese già fortemente indebitato come il nostro.
Sull’aumento dell’Iva – assodato ovviamente che sarebbe meglio evitarlo – le opinioni degli esperti sono discordanti: alcuni sostengono che si tratta di una misura fortemente regressiva, assolutamente da evitare con un’economia già in recessione. Inoltre, trattandosi dell’imposta più evasa, porterebbe a un ulteriore incremento dell’evasione fiscale a fronte dell’aumento generalizzato dei prezzi. Da ultimo – ma è forse l’aspetto più importante – si tradurrebbe in un’implicita “tassa sulla povertà”, facendo collassare il reddito disponibile delle classi più povere (circa 5 milioni nel nostro Paese) e comprimendo ancora di più quello delle classi medie che, per quanto conducano una vita ancora dignitosa anche grazie ai “sussidi” privati delle pensioni di genitori e nonni (chi può), vedono le proprie entrate sempre più erose e, di conseguenza, la capacità di risparmio pressoché azzerata.
Altri ritengono che l’aumento dell’Iva non sia così tragico, soprattutto se accompagnato da misure di riduzione almeno del prelievo fiscale sui redditi di lavoro dipendente, non riuscendo a intervenire anche sugli oneri contributivi per ragioni legate alla sostenibilità del sistema pensionistico. Anche questa possibilità è da valutare attentamente, perché, migliorare le condizioni del ceto medio, che si sta impoverendo sempre di più, contribuirebbe positivamente a riattivare un ascensore sociale, fermo ormai da anni, che costituisce un problema non inferiore a chi vive in condizioni di povertà, assoluta o relativa.
Chi ha ragione? Come procedere? Non saprei, ma mi sembra più saggio “rassegnarsi ad un aumento selettivo dell’Iva“, come recentemente proposto dall’ex Presidente dell’Inps, Tito Boeri, (in un articolo comparso su “la Repubblica“), rimodulando le aliquote del 10% e del 22% e intervenendo sui beni soggetti ad aliquota del 4%, recuperando così risorse da un’operazione di armonizzazione. L’economista cita anche il caso della Germania che, a inizio 2000, stimolò la crescita con un aumento ponderato dell’Iva e una riduzione della pressione fiscale sul lavoro e conclude sottolineando che “solo amministrazioni in grado di resistere alle pressioni di breve periodo della politica possono farci vincere la battaglia contro l’eccesso di evasione fiscale che contraddistingue il nostro Paese“. Non so se sia la ricetta giusta. Anche se direi piuttosto che il problema è proprio una politica di troppo breve respiro.