Il Governo Meloni ha appena approvato la sua seconda (complessa e difficile) Legge di bilancio. Come da tradizione non mancherà, in queste settimane, il consueto assalto alla diligenza e toccherà, in prima battuta alla Premier e al Custode dei Conti Giorgetti, difenderla da attacchi, di amici e nemici, a 360 gradi. L’Europa, ma soprattutto il buon senso, ci chiedono, infatti, di avere i conti in ordine.



In questo quadro è interessante leggere come i sindacati hanno accolto le scelte dell’Esecutivo. La Cgil, ad esempio, la più lontana politicamente dal Governo Meloni, chiede, e immagina, un’altra politica economica, possibile e necessaria per il paese, fondata sulla leva redistributiva del fisco. Si chiede, quindi, di aumentare i salari, sostenere sanità e scuola pubblica, rilanciare gli investimenti, a partire da un Pnrr (congelato dal Governo?), non solo per sostenere la crescita, ma, più complessivamente, per trasformare il nostro modello di sviluppo di fronte alle sfide della rivoluzione tecnologica e della conversione ambientale.



Critica anche la Uil che non vede nella manovra le soluzioni per la precarietà del lavoro, nessuna traccia di politiche industriali e, ovviamente, le risorse per le assunzioni. Anche le decisioni in materia di fisco vanno nella direzione opposta a quella auspicata dalla Confederazione guidata da Bombardieri. Si sostiene, infatti, che  non si parli più di lotta all’evasione fiscale e  che si perpetuino le divergenze di trattamento tra lavoratori, visto che, su questo fronte, si ritiene che nulla sia previsto per i dipendenti e i pensionati, mentre per le partite Iva vengono stanziati 4 miliardi, per consentire loro di rinviare il versamento dell’acconto.
Decisamente più soddisfatta la Cisl per cui si delinea una manovra che, pur  nei vincoli delle risorse individuate, si caratterizza da un respiro “sociale”, e che con diversi interventi recepisce alcune delle proposte del sindacato di Luigi Sbarra.



Tra questi si sottolinea la conferma, per tutto il 2024, del taglio del cuneo contributivo, che da solo vale 10 miliardi, la continuità della detassazione dei frutti della contrattazione decentrata per la quale è stato chiesto che venga avviata anche nei comparti pubblici, a partire dalla sanità. Importante è poi ritenuto l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef alla soglia del 23% e la proroga della misura sulla perequazione inflazionistica delle pensioni, su cui la Cisl resta ferma nel chiedere la piena indicizzazione per tutti i pensionati.

Altrettanto significativa è considerata  l’operazione che si fa sul lavoro pubblico per il quale si assicurano le prime risorse necessarie ai rinnovi contrattuali del triennio 2022/2024 e dove si destinano 5 miliardi e ulteriori risorse negli anni a venire. Si ritiene positivo poi che il Governo investa, inoltre, ulteriori 3 miliardi a favore della sanità pubblica anch’essi destinati ad aumentare nei prossimi anni e nel sostegno alle famiglie, e alla natalità, attraverso un rafforzamento dell’Assegno unico e delle altre misure già operative.

Un quadro che, peraltro, ricalca quello sul documento sul salario minimo del Cnel sul quale, appunto, Uil e Cgil avevano espresso un parere negativo.

Come, quindi, immaginabile, il Governo non potrà contare, per le difficili  scelte che dovrà compiere nei prossimi mesi, su un apporto collaborativo e del supporto dei principali sindacati italiani.

L’auspicio, tuttavia, è che questa situazione non porti all’arroccamento dell’Esecutivo sulle sue posizioni, ma sia, altresì, vissuta come stimolo per trovare, su altri e nuovi fronti, possibili momenti di dialogo sociale senza il quale la nostra democrazia è certamente più debole e più povera.

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