Il dibattito sui temi del lavoro presenti nella Legge di bilancio in vigore dal 1° gennaio (legge 29 dicembre 2022, n. 197) si è polarizzato sulle misure contenute nell’articolo 1, commi 313-321, ossia le disposizioni di riordino del Reddito di cittadinanza. Si tratta, indubbiamente, di una novità rilevante, annunciata durante la campagna elettorale e quindi estremamente distintiva. A differenza di altre misure “di bandiera” come il tetto al contante, il limite di pagamento con POS e l’anticipazione pensionistica, le novità sul Reddito di cittadinanza non sono state riviste in corso di approvazione della legge e non sono state oggetto di osservazioni da parte delle istituzioni comunitarie; anche per questo hanno avuto un ruolo centrale nella comunicazione del Governo.
Il capitolo “lavoro” della Legge di bilancio contiene, però, anche altre due disposizioni significative. Una terza, invece, fa rumore per l’assenza.
La prima innovazione interessa le relazioni industriali e prevede la riduzione dal 10% al 5% dell’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di risultato derivanti dalla contrattazione collettiva di secondo livello (aziendale o territoriale) (articolo 1, comma 63). Una correzione alla previgente normativa richiesta in particolare dalla Cisl, che aveva suggerito al Governo di neutralizzare anche l’obbligo di incrementalità che permane dalla Legge di stabilità 2013 e che in periodi di crisi economica sovente neutralizza la possibilità di riconoscere premi detassati, poiché con più difficoltà si verifica il miglioramento degli indicatori variabili e misurabili (produttività, redditività, qualità, efficienza) contenuti negli accordi di risultato. Questo secondo suggerimento non è stato colto, ma è indubbio che il dimezzamento dell’imposta possa incoraggiare la stipulazione di un maggior numero di contratti premianti, contati a fine dicembre 2022 dal ministero del Lavoro in numero di 13.608, coinvolgenti 3.878.750 lavoratori del settore privato. Allo stesso tempo, il minor costo fiscale del premio potrebbe rallentare la crescita costante del welfare aziendale richiesto dai dipendenti in sostituzione dell’erogazione monetaria proprio in ragione dell’assenza di oneri fiscali e contributivi (quasi il 61% dei contratti di produttività prevede questa possibilità).
Una via di mezzo tra la richiesta del sindacato e i vincoli di bilancio a cui è dovuto sottostare il legislatore poteva essere quella di prevedere esplicitamente la possibilità di stipulare accordi aventi come finalità l’efficientamento o il risparmio energetico. Sarebbe d’altra parte assolutamente ragionevole, in un periodo come questo, riconoscere ai lavoratori che accettino per il tramite del sindacato una riorganizzazione dei turni di lavoro per contabilizzare risparmi sui costi della energia (spostamento dei turni in orari estremi della giornata, maggiore utilizzo delle ore di sole, ecc.) la detassazione della componente di salario legata a una modifica organizzativa di questo genere, indipendentemente dall’incrementalità degli indicatori di bilancio ordinari.
La seconda novità contenuta nella legge 197 del 2022, ma in questo caso contestata da tutti i sindacati, attiene il rilancio dei c.d. buoni/voucher lavoro (articolo 1, commi 342-354): un’originale forma di lavoro occasionale della quale il Parlamento ha elevato il limite massimo dei compensi annui per singolo utilizzatore (da 5.000 a 10.000 euro), ammettendone il ricorso da parte di imprese con un numero di lavoratori a tempo indeterminato fino a dieci, tra i quali rientrano oggi anche le attività di discoteche e sale da ballo. Per il settore agricolo, quello per il quale fu concepito in origine questo strumento già nella Legge Biagi del 2003, è stata prevista, sperimentalmente per il biennio 2023-2024, la possibilità di ricorrere alle prestazioni occasionali per un massimo di 45 giornate lavorative per ciascun lavoratore.
È uno strumento sul quale si sono sempre scaricate molte accuse di precarizzazione e mercificazione del lavoro, dimenticando però che non si tratta di un dispositivo in competizione con le forme di subordinazione tipiche (contratti a termine e a tempo indeterminato), bensì con il lavoro nero, che assorbe buona parte delle attività gestibili con il voucher lavoro. Se in passato questo buono poteva addirittura coprire le informalità, facendole diventare “lavoro grigio” (il voucher era riconosciuto solo in caso di ispezione e comunque in misura minore di uno per ora di lavoro), già da quasi dieci anni questo non è più possibile, essendo il meccanismo informatizzato e, quindi, controllabile anche a distanza.
Il nodo che rimane da risolvere è quello della competizione con il lavoro a tempo determinato nel settore agricolo, rilevante perché connesso alla maturazione dei requisiti per la disoccupazione agricola: una discronia che si può risolvere con modifiche successive.
Da ultimo, è piuttosto eclatante, e ultimamente incomprensibile, una grande assenza: quella del welfare aziendale. Se da una parte questo è l’istituto della gestione del personale maggiormente cresciuto negli ultimi anni (+480% il numero dei piani di welfare in Italia dal 1° gennaio 2016 a fine 2021), dall’altra non è la prima volta che il legislatore se ne dimentica. In questo caso la mancata trattazione è inaspettata perché proprio questo Governo aveva deciso, tra i suoi primissimi atti, di innalzare la quota dei c.d. fringe benefits da 600 a 3.000 euro per i soli due mesi finali dell’anno 2022. Una misura decisamente “spavalda”: estremamente costosa ed equivoca nel sostegno alla meno sociale delle forme di welfare aziendale. Per questo ci si aspettava quantomeno una conferma definitiva della soglia dei 600 euro di cui al comma 3 dell’art. 51 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), visto che è un valore che “balla” da oramai due anni e mezzo e che dal 1° gennaio è tornata ad essere di 258,23 euro. Inoltre, auspicati erano alcuni interventi correttivi al comma 2 dello stesso articolo 51, a costo zero o bisognosi di coperture assai ridotte (nuova regolazione del riconoscimento degli interessi passivi dei mutui, misure per la mobilità sostenibile, ricomprensione nel welfare delle spese per la cura di animali domestici e per l’affitto degli studenti fuori sede, ecc.). Nulla di questo genere è stato approvato: le migliaia di imprese e i quasi tre milioni di lavoratori che si sono abituati a sfruttare gli ampi spazi del welfare aziendale dovranno aspettare il decreto c.d. Milleproroghe o, più facilmente, i primi “decreti aiuti” del nuovo anno per scoprire quale sarà la regolazione 2023 di questo istituto.
@EMassagli
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