L’Economia sostenibile è un tema estremamente serio e dalle svariate sfaccettature. Ma altrettanto esposto al rischio di essere utilizzato per alzare cortine fumogene colorate  di verde, per bypassare il dovere di affrontare i problemi con un sano realismo. Il Presidente della Regione Lazio e la Sindaca della Capitale possono anche esultare per l’annuncio di un programma Evergreen new deal da parte del nuovo Governo. Ma il caso romano nella gestione dei rifiuti non è proprio una buona pratica da esibire. Intere contrade ridotte a letamai per l’incapacità di operare una qualsiasi scelta e nonostante buona parte dei rifiuti raccolti venga incenerita nelle altre regioni italiane o all’estero a costi iperbolici.



Questa premessa per cercare di discernere le cortine fumogene dei  buoni propositi da quanto concretamente si sta cercando di mettere in atto. Offrendo in tal senso una breve analisi dei  tre principali propositi, quasi dei Mantra, che stanno orientando l’azione del nuovo Governo.

Il primo: allargare il deficit per fare nuovi investimenti. L’intento è talmente nobile e condiviso  da essere stato praticato pressoché da tutti i governi che si sono alternati alla guida del Paese dall’avvento della moneta unica. Con l’esito finale di assecondare la crescita della spesa corrente e del debito a danno degli investimenti auspicati (che si sono ridotti del 30% nel corso dell’ultimo decennio). Sarà la volta buona? No, per il semplice motivo che la  richiesta di allargare i cordoni della borsa  viene effettuata  per attenuare l’esigenza di evitare gli aumenti dell’Iva che, a loro volta, sono stati previsti per  coprire la  crescita della spesa spesa corrente, in particolare quella  previdenziale e assistenziale. Ammesso e non concesso che l’Ue consenta una  deroga alle riduzioni del deficit e del debito già concordate, le intenzioni del Governo sono quelle di destinare le limitate risorse reperibili, 4-5 miliardi,  per implementare le detrazioni fiscali sul lavoro dipendente. Cosa buona e ragionevole, ma non sono investimenti!



Il secondo: non calcolare nel deficit la spesa nazionale per gli investimenti. Su questo tema si sta cercando di conciliare le intenzioni del Governo italiano con i buoni propositi annunciati dalla nuova Presidente della Commissione Ue, che  sono quelli di rafforzare gli investimenti in infrastrutture e per la sostenibilità ambientale. Una sorta di politica keynesiana di matrice europea, accompagnata dalle sollecitazioni ad allargare l’intervento della spesa pubblica per i paesi che hanno i bilanci in ordine. Come ha correttamente ammesso il neo ministro dell’Economia Gualtieri, questi propositi richiederanno tempi medio lunghi per essere attuati, ammesso che vengano superate le resistenze dei paesi del nord Europa e della Germania.



L’Italia non è ovviamente  tra i paesi con i conti in ordine. Peggio, è uno dei paesi che non spende nemmeno i fondi  europei già disponibili che, tra l’altro, vengono conteggiati nel bilancio dello Stato solo per la quota dei cofinanziamento nazionale. Un’entità che ogni anno viene puntualmente rimodulata in negativo nelle leggi di stabilità per contenere il deficit, semplicemente prendendo atto della scarsa capacità di dare attuazione agli  impegni assunti da parte delle amministrazioni.

I problemi sono noti: l’incapacità di operare delle scelte sulle infrastrutture di ogni genere, l’ipertrofia burocratica a monte di ogni provvedimento. Peraltro aggravate dalla creazione dell’Anac che ha ulteriormente complicato tali iter. Riusciranno i nostri eroi a invertire la rotta? Lecito dubitare. Buona parte degli esponenti  del partito di maggioranza relativa si è formata nei movimenti locali ostili alle grandi e piccole opere in una ottica palesemente anti-industriale.

Il terzo: come rendere sostenibile lo sviluppo. Premesso quanto sopra, esiste un ulteriore equivoco da risolvere relativo a come si possono conseguire gli obiettivi per la sostenibilità ambientale. Il tema è complesso e presenta molte sfaccettature e specificità. Semplificando, si potrebbe affermare che si confrontano due approcci. Uno esplicitamente favorevole ad adottare interventi finalizzati a ottenere un mix ragionevole tra investimenti, lavoro e sostenibilità ambientale. Un altro che tende ad assecondare obiettivi specifici, soprattutto ambientali, attraverso forme punitive e/o agevolazioni  che trascurano gli altri aspetti della sostenibilità. Pura retorica? La gestione dei rifiuti, e l’ostilità ai termovalorizzatori, è un caso esemplare. Ma potremmo citare la vicenda delle penalizzazioni delle auto diesel che ha provocato il crollo delle vendite della automobili di nuova generazione  prodotte in Italia, per avvantaggiare l’acquisto delle auto elettriche straniere. Oppure la delirante analisi costi benefici ostile alla Tav in relazione ai mancati introiti per lo Stato delle accise sui carburanti.

Tutti superati questi nodi? Lascio ai lettori la risposta. Resta il fatto che l’esultanza per lo scampato pericolo elettorale, che galvanizza l’unità di intenti della neo maggioranza parlamentare, dovrà trovare conferme sul campo. E non ci saranno tappeti dove nascondere la polvere.