Guardando alla manovra finanziaria in approvazione risulta senza dubbio meritorio l’allargamento della copertura dei periodi di malattia dei liberi professionisti finora (a dire il vero solo dallo scorso febbraio) limitata agli eventi morbosi prodotti dal Covid. La tutela scatterebbe per tutte le malattie e gli infortuni gravi, anche se avvenuti fuori dal luogo di lavoro. La tutela è “limitata” e vale solo per il fisco e per gli adempimenti tributari legati ai pagamenti delle imposte. Rimangono esclusi i termini e le scadenze legate ai contenziosi tributari, gli adempimenti extra tributari quali le scadenze previdenziali e le tutele giudiziarie.
A tale ultimo proposito basti pensare che anche per gli avvocati il legittimo impedimento ha confini incerti. La “tutela” arriva a coprire le scadenze dei 60 giorni successivi alla data di ricovero o della malattia e dura per 30 giorni dal momento del fine malattia. Un po’ di ironia non guasta. La sospensione dei termini non blocca gli interessi legali sulle somme dilazionate così come non è chiaro chi dovrà pagarli. È probabile che rimangano a carico del professionista malato e “mazziato”.
Andando oltre nell’esame della manovra, va detto che rimangono immutate le misure agevolative previste per gli investimenti in macchinari e innovazione. Non c’è stato il tempo di esaminare gli emendamenti parlamentari, da qui un evidente ridimensionamento degli incentivi. È confermata, infatti, la netta riduzione degli incentivi legati alla Transizione 4.0, seppure prolungata per più anni, così come rimane confermato che il 2022 sarà l’ultimo anno in cui sarà possibile usufruire del credito d’imposta per i beni strumentali tradizionali (l’ex “super ammortamento”). Rimane altresì confermata la doccia fredda per le imprese che hanno, sulla base delle norme approvate nel 2020, rivalutato/riallineato in bilancio i marchi e gli avviamenti versando l’imposta sostitutiva. La legge di bilancio 2022, resasi conto di un evidente errore di programmazione, dovrebbe confermare, facendo pagare l’errore alle aziende, che le norme in base alle quali era stata operata la rivalutazione e/o il riallineamento dei beni immateriali non valgono più retroagendo. Da ciò ne consegue che sarà possibile recuperare fiscalmente i maggiori valori non più in 18 anni ma in 50.
La penalizzazione non riguarda le rivalutazioni dei beni materiali, nonché quelle degli intangibili con periodo di ammortamento inferiore a 18 anni (ad esempio know-how). La nuova norma “offre” alle aziende dei “rimedi”. Viene disposto, infatti, che laddove si voglia mantenere l’ammortamento fiscale in 18 anni si debba operare un versamento integrativo dell’imposta sostitutiva già versata. È facile prevedere che poche imprese seguiranno questa strada. Con questo ulteriore pagamento, infatti, il punto di pareggio tra onere per imposta sostitutiva (12%, 14%, 16%) e risparmio fiscale (27,9%) si colloca tra l’ottavo e l’undicesimo anno diventando poco appetibile. Un altro rimedio offerto passa per la possibilità di revocare gli effetti fiscali della rivalutazione o del riallineamento di questi intangibili (e dell’affrancamento delle correlate riserve, laddove effettuato), concedendo di poter richiedere, con modalità ancora da definire, il rimborso o la compensazione dell’imposta sostitutiva già versata in occasione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2020.
I rimedi offerti non tengono conto degli effetti negativi che ne derivano. Notevoli, infatti, sono le influenze sui bilanci delle aziende e ciò sia per il caso di revoca che per il caso di mantenimento delle rivalutazioni operate. L’allungamento del tempo di ammortamento influenza, infatti, in ogni caso i bilanci delle imprese. Un primo esempio è offerto dal trattamento da riservare alle imposte anticipate (eventualmente) rilevate dalle imprese che non avrebbero più giustificazione in un recupero fiscale “allargato” a 50 anni che costituisce un orizzonte temporale troppo lungo che non consente di operare alcuna valutazione della continuità e della redditività aziendale. Anche dalla revoca della valenza fiscale della rivalutazione derivano conseguenze. Si dovrebbero, infatti, rilevare le imposte differite passive che influenzerebbero negativamente il bilancio. L’ultimo rimedio possibile poi passa per l’annullamento della rivalutazione, ma ciò determina effetti sulla patrimonializzazione delle aziende. Tutti questi aspetti rimangono senza disciplina e ciò espone i bilanci per il 2021 a incertezze rilevanti.
L’aspetto più sorprendente della manovra è senza dubbio la mancanza di ogni previsione di proroga dei provvedimenti introdotti dal decreto liquidità ovvero dei finanziamenti bancari che godono delle garanzie statali. Se alle considerazioni fatte si aggiunge la previsione di consentire di non operare gli ammortamenti nei bilanci 2021, riservata solo a coloro che ne hanno usufruito nel 2020, ne consegue che nella manovra manca una politica di sostegno alle aziende sane ma deboli. Un provvedimento senza dubbio auspicabile per il prossimo futuro dovrebbe favorire la ricapitalizzazione delle aziende. Dovrebbe essere introdotto un provvedimento simile a quello che fu previsto con l’art. 26 del Decreto rilancio, ma con meno ideologia e meno generosità.
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