Nell’ultima settimana l’agenda del Premier Giorgia Meloni è stata al centro del dibattito politico, con un comune denominatore, che ha assunto sfaccettature diverse: il tema dei migranti. Il presidente del Consiglio, infatti, è stato prima in Ungheria da Orban per partecipare a un forum sulla demografia, poi a Lampedusa insieme a Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea. Demografia e crisi migratoria: due temi che si intrecciano e che incidono sulla società attuale, sul processo d’integrazione europeo e sul destino stesso dell’Europa.
In primo luogo, la partecipazione al forum sulla demografia ha riportato ancora una volta in auge il tema del lavoro femminile, legandolo al tema della natalità: “In Ungheria si è riusciti a fermare la tendenza in calo della natalità, sono aumentati i posti di lavoro, e anche l’occupazione femminile”. È vero, infatti, come dimostrano i dati, che l’aumento della natalità nel Paese non ha portato meno occupazione femminile, al contrario è cresciuta: i due fenomeni non sono strettamente correlati, anche se la mancanza di servizi, come avviene in Italia, fa sì che i dati tra lavoro femminile e natalità siano inversamente proporzionali, ma questo è un dato italiano che non trova riscontro nel continente europeo, laddove esistono politiche familiari. Basti pensare che in Ungheria si è passati da un’occupazione femminile al 64% nel 2016 al 68% nel 2021, mentre il tasso di fertilità è aumentato da 1,49 a 1,59 figli per donna. Pur essendo numeri ancora al di sotto del tasso di sostituzione perfetta (pari a 2), sono al sopra della media europea (occupazione femminile al 63,35% e tasso di fertilità al 1,53) e di molti altri Paesi, anche se rimane la Francia il Paese con il più alto tasso di natalità (1,8, dati Ocse).
Il punto più importante è stato porre il tema della maternità come non alternativo a quello del lavoro, a patto di sviluppare delle politiche familiari che siano di sostegno alla famiglia: detto altrimenti, la maternità e i figli stessi non sono ostacolo alla realizzazione della famiglia e della donna (al contrario, ne sono compimento), anche in campo lavorativo. Politiche familiari degne di questo nome sono pertanto tenute a rimuovere tutte quelle condizioni che fanno sì che la donna veda i propri figli come un ostacolo: il quoziente familiare francese, in questo senso, aumenta la detassazione sul reddito familiare al crescere del numero dei figli. L’idea, per quanto semplice, è culturalmente interessante: un figlio non solo non è un ostacolo, ma, idealmente, conviene alla famiglia. Da questo punto di vista sarà interessante capire cosa verrà deciso nell’imminente Manovra finanziaria.
La questione che però è stata maggiormente oggetto di riflessione negli ultimi giorni è quella relativa ai migranti. A detta di Giorgia Meloni parlare di migrazioni come di soluzione alla denatalità è inesatto, e in effetti i dati le danno ragione: guardando l’Italia, i dati dal 2008 mostrano una tendenza decrescente sia per i nati da famiglie italiane che da famiglie straniere. L’idea che gli stranieri, quindi, possano risolvere la crisi demografica è inesatta, anche se certamente possono essere un palliativo nel brevissimo periodo: del resto le difficoltà che incontrano le famiglie italiane nel Paese sono le stesse che incontrano le famiglie straniere.
Il calo demografico si aggancia a questo tema: dato il continuo calo di nuovi nati, il Paese, economicamente parlando, ha bisogno di forza lavoro che deve necessariamente trovare facendo lavorare una certa quota d’immigrati (per questo ogni anno viene varato il cosiddetto decreto flussi). La presenza e il continuo arrivo di migranti, pertanto, è necessario per la produttività del Paese (per quanto egoistico possa sembrare come ragionamento: altre logiche strettamente umanitarie non verranno qui prese in considerazione esclusivamente per motivi di spazio disponibile).
Parlare d’immigrazione oggi vuole anche dire spostare l’attenzione sul Mediterraneo (diventato “il cimitero più grande del mondo”(Francesco, Santa Messa, 9 ottobre 2022)), su Lampedusa, sulla rotta balcanica e sui Paesi di frontiera con l’Africa. Capire il fenomeno e gestirlo non è un’impresa facile e chiama in causa la lungimiranza e l’umanità della politica italiana e internazionale: vale la pena ricordare infatti che “l’attività politica, nazionale e internazionale, viene ‘dall’uomo’, si esercita “mediante l’uomo” ed è ‘per l’uomo’” (San Giovanni Paolo II).
Come più volte sottolineato dal Governo, la crisi migratoria deve essere affrontata in un’ottica globale: in questo senso il Premier, all’Assemblea Onu, ha indicato che il fenomeno è una sfida che coinvolge tutti, non solo i Paesi di frontiera. Per questo ha indicato come principale sfida quella di “sconfiggere gli schiavisti del terzo millennio da un lato, e affrontare le cause alla base della migrazione dall’altro, con l’obiettivo di garantire il primo dei diritti, che è il diritto a non dover emigrare”: per fare questo è necessario offrire “un’alternativa seria al fenomeno della migrazione di massa, fatta di lavoro, formazione, opportunità nelle nazioni di provenienza, e percorsi di migrazione legale e concordata e dunque anche integrabile”.
Un problema complicato che necessita di risposte strutturate: le sfide, in quest’ultimo scorcio estivo, sono tante per il Governo (e per l’Unione europea). La speranza è che possa essere protagonista nel trovare soluzioni a problemi epocali.
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