La scadenza più importante che il governo dovrà affrontare nelle prossime settimane è la legge di bilancio, su cui si stanno accumulando molte aspettative, ma anche molte perplessità. Interessante il recente intervento del ministro Giorgetti al Meeting di Rimini: “Sarà una legge di bilancio complicata, tutte lo sono. Siamo chiamati a decidere delle priorità: il tema della natalità, che intendo riproporre, è fondamentale. Non c’è nessuna riforma previdenziale che tiene nel medio-lungo periodo con i numeri della natalità che vediamo in questo Paese”.
In questo modo il ministro dell’Economia ha tracciato un circuito virtuale, in cui si afferma che senza politiche demografiche efficaci non possono esserci riforme previdenziali soddisfacenti. Gli ha fatto eco il sottosegretario Mantovano, che ha ribadito: “È la sfida più importante, il governo si prepara all’autunno caldo della manovra. E a guidare le prossime scelte c’è sicuramente il tema della natalità”. Solo tenendo conto di questa premessa potrà prendere forma una legge di bilancio prudente e coraggiosa, innovativa ma aderente alla realtà. Una legge di bilancio in cui la famiglia è nella cabina di regia, perché il futuro degli anziani, paradossalmente, passa anche attraverso un rinnovato approccio alle politiche della famiglia, cominciando dalle politiche demografiche.
La presa in carico degli anziani
La presa in carico degli anziani, al centro della legge 33/2023, è uno degli obiettivi più complessi soprattutto per un governo come l’attuale, che vuole mettere la famiglia al centro delle sue scelte strategiche e operative. Negli ultimi venti anni però, sia pure in buona fede, le politiche familiari sono state assimilate alle politiche sociali e sono state trattate con bonus di varia natura ed entità, ma mai con misure strutturali concrete. Una politica miope che ha prodotto due risultati fortemente destabilizzanti nel Paese; il primo legato all’indice di natalità, che nel 2022 è stato del 6,7 per mille, il livello più basso mai registrato.
Il secondo indicatore, legato all’indice di non autosufficienza, secondo l’Osservatorio Long Term Care del Cergas della Bocconi, è pari al 28,4%, tra gli over 65. Interessa quasi 4 milioni di individui. Di particolare interesse la proiezione di questi dati apparentemente solo quantitativi, mentre invece condizioneranno in modo significativo molteplici realtà istituzionali attualmente scarsamente integrate tra di loro. Basta pensare al ministero della Famiglia, a quello della Sanità, al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, al ministero della Disabilità, e ovviamente al Mef. In base al progressivo invecchiamento della popolazione, nei prossimi anni la non autosufficienza potrebbe aumentare. Secondo lo scenario ipotizzato dall’Istat, entro il 2050 gli over 65 che oggi rappresentano il 24% della popolazione residente diventeranno il 34,9%. La popolazione over 80 raddoppierà, passando dal 7,6% di oggi al 14,1% del 2050. Mentre gli ultracentenari passeranno dai 19mila del 2022 ai 77.900 del 2050, con un tasso di non autosufficienza direttamente proporzionale.
Soluzioni flessibili
Pensando a un prossimo futuro, ormai facilmente prevedibile, i decreti delegati che accompagneranno l’attuale legge 33/2023 debbono offrire soluzioni flessibili e sostenibili, che rispondano alle necessità delle famiglie in modo efficace, innescando processi di coesione sociale che riflettano le indispensabili priorità. L’attuale scenario italiano della presa in carico della non autosufficienza vede, anche in questo campo, una forte eterogeneità e regionalizzazione.
L’eterogeneità è legata ad una scarsa integrazione sociosanitaria, per cui in molte regioni l’attenzione si è concentrata sui bisogni sanitari, soprattutto se previsti dai Lea (Livelli essenziali di assistenza), mentre hanno considerato i bisogni sociali come un optional a totale carico delle famiglie. Se la legge 33 rilancia con forza e con convinzione i Leps (bisogni essenziali delle prestazioni sociali) bisogna ricordare che questi erano già stati inseriti nella legge di bilancio 2022 (234/2021), dove in teoria erano garantiti ai soggetti non autosufficienti, ma nei fatti la loro applicazione in questi anni è stata minima e le famiglie non si sono accorte di questa misura.
Famiglie sole
Di fatto le famiglie, lasciate sole a livello istituzionale, con tutte le implicazioni economico-organizzative che gravano su di loro, attualmente sono sempre meno in grado di farsi carico degli anziani, soprattutto se non sono autosufficienti. Due fattori sono particolarmente importanti: da un lato la crescente rilevanza delle patologie cronico-degenerative a effetto invalidante, che hanno fatto emergere con chiarezza come l’anziano, portatore per antonomasia di bisogni molteplici e complessi, sia il soggetto fragile per eccellenza. E dall’altro la necessità di avvalersi di figure professionali o semiprofessionali per poter rispondere alle sue esigenze. La figura del badante, o meglio dell’assistente domiciliare, comincia a diventare sempre più quella di una persona che deve possedere competenze specifiche, con un profilo di formazione ad hoc, per essere in grado di rispondere ai bisogni emergenti. In caso di grave non auto-sufficienza c’è bisogno di una assistenza h24, che può essere svolta solo da un giro di almeno due-tre persone, opportunamente integrate da qualche figura familiare con il ruolo irrinunciabile dei caregiver familiari.
Ma proprio per questo il loro costo aumenta progressivamente, e diventa meno sostenibile per le famiglie, in cui la rete familiare di assistenza è sempre più ridotta e sempre più di età avanzata. Non di rado oggi ad assistere quattro persone molto anziane, due coppie genitoriali di nonni, con un’età vicina ai 90 anni, tra cui potrebbe esserci una persona non autosufficiente, c’è una coppia formata da due figli unici, con un’età che si avvicina ai 70 anni, impegnati nel loro ruolo di nonni ad assistere i nipoti, o meglio il nipote, nato dal loro unico figlio. La crisi demografica non è solo rilevante per rispondere al quesito su chi pagherà le nostre pensioni, è ancor più rilevante sotto il profilo dell’assistenza familiare, dovuta a chi oggi non è più auto-sufficiente ma a suo tempo si è preso cura di loro quando erano ben più piccoli.
Oggi però non c’è nessuno a saldare quel debito di gratitudine, perché un figlio solo non può farsi carico delle esigenze dei suoi genitori, dei suoi figli e dei suoi nipoti. È l’intera catena della solidarietà familiare che non riesce più a garantire la multidimensionalità delle esigenze di cui ognuno di noi è portatore nelle diverse età della vita. Provare a contabilizzare queste esigenze per metterle in legge di bilancio è davvero difficile, perché i costi indiretti si moltiplicano, mano a mano che osserviamo il fenomeno e le risorse fisiche e affettive, economiche e organizzative si riducono progressivamente. Se viene meno la famiglia davanti alla necessità di un approccio globale ad un paziente complesso, non basta più né la appropriatezza clinica né l’appropriatezza organizzativa.
La gestione delle risorse
In conclusione: il mondo scientifico internazionale, attraverso evidenze e letteratura, ha dimostrato la complessità delle iniziative necessarie per offrire a ogni persona non-autosufficiente un Piano assistenziale individuale, completo, su misura per le sue esigenze, diagnosticate con una valutazione multidimensionale esaustiva. È questo l’elemento specifico dell’assistenza continuativa integrata alla persona. Ma la stessa etica della salute, fisica e mentale, volta a creare un effettivo benessere della persona, non si può reggere senza un forte investimento sulla famiglia. È la famiglia che garantisce la qualità del servizio offerta al soggetto non autosufficiente, in linea con quanto propone la legge 33/2023; un servizio che, per essere efficace, deve partire da una conoscenza approfondita della persona soggetto di cura, coinvolgendolo nella misura del possibile nella partecipazione ai processi decisionali, facendone il protagonista del progetto dedicatogli, riproponendogli in ogni situazione l’autostima, l’empowerment e il senso del vivere, a salvaguardia della sua dignità.
Ma questa famiglia non può essere lasciata sola; deve sapere e deve sentire che per garantire alle persone non autosufficienti, “fragili”, equità di trattamento negli accessi ai servizi sociosanitari ed appropriatezza delle cure, serve una gestione attenta delle risorse disponibili, e di questa gestione lei stessa è chiamata a essere non solo testimone, ma partner attivo e consapevole. Se si trascura il ruolo della famiglia nella gestione della non autosufficienza vuol dire che si è persa la consapevolezza della potenza rivoluzionaria di una azione di governo in cui la famiglia è intesa come motore di sviluppo dell’intero sistema economico del Paese.
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