La chiave di volta è una pietra lavorata (o “acconciata” o “concio”) per adempiere a funzioni strutturali; posta al vertice di un arco o di una volta, chiude, con la sua forma a cuneo, la serie degli altri elementi costruttivi disposti uno a fianco dell’altro ed è quindi elemento indispensabile per scaricare il peso retto dall’arco sui pilastri laterali.
Anche se non siamo capomastri arriviamo a capire che il ruolo di questa pietra e della sua collocazione è fondamentale per l’intera struttura dell’arco e che pertanto se il lavoro non è eseguito a regola d’arte, la stabilità dell’intera costruzione ne soffre. Fuor di metafora anche nell’edificazione di un sistema pensionistico vi sono delle chiavi di volta o, volendo cambiare definizione, delle pietre angolari che per “adempiere a funzioni strutturali” devono rispondere a canoni specifici, altrimenti la costruzione non regge.
Nelle modifiche che sono previste nella Legge di bilancio ora all’esame definitivo del Senato, il Governo ha individuato una chiave di volta per un’ulteriore fattispecie sperimentale valida per tutto il 2023, denominata “pensione anticipata flessibile”: 41 anni di anzianità di servizio e di versamenti contributivi. Si è trattato di una scelta che non ha giustificazioni se non di natura politica. Del resto è una caratteristica dei nostri tempi imbattersi in decisioni e orientamenti che sembrano dettati da una sorta di “partito preso” a cui si risponde in un solo modo a seconda delle circostanze: sì perché sì oppure no perché no.
Questa volta, pero, la fantasia non è riuscita ad andare al potere (come accadde con Quota 100) perché il Governo Meloni ha voluto gestire con giudizio e parsimonia i “cordoni della borsa”: ne è derivato un mix “tipo Frankenstein” che creerà parecchi problemi e deluderà molte promesse e aspettative. Per usare “Quota 41” come pietra d’angolo del sistema, “da qui all’eternità”, il Governo è stato costretto a puntellare l’edificio, creando, alla fin dei conti, maggiori disagi per coloro che intendono transitarvi ovvero usare la “pensione anticipata flessibile” facendo valere quella che è stata definita “Quota 103” e che in realtà non è una quota, ma la combinazione di due parametri separati, fissi e rigidi che devono concorrere entrambi alla formazione del requisito minimo e necessario: almeno 62 anni di età e 41 (ecco il numero magico) di anzianità contributiva.
Si tratta di un’ulteriore fattispecie di diritto al trattamento pensionistico anticipato, che si aggiunge – come possibilità alternativa – alle altre in vigore: fino a tutto il 2026 con il requisito ordinario di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne a cui si aggiungono le ulteriori innumerevoli via d’uscita motivate da situazioni famigliari, occupazionali o lavorative e accumulate negli ultimi anni.
I soggetti che, in base alla nuova fattispecie transitoria, conseguono il diritto entro il 31 dicembre 2023 possono presentare la domanda per il relativo trattamento anche successivamente. La nuova fattispecie è introdotta per i regimi pensionistici dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, ovvero, limitatamente alle forme gestite dall’Inps ai lavoratori autonomi e parasubordinati; sono esclusi dall’applicazione (oltre alle casse privatizzate dei liberi professionisti) il personale militare delle Forze armate (ivi compreso il personale della Guardia di finanza), il personale delle Forze di polizia a ordinamento civile (ivi compreso il Corpo di polizia penitenziaria), il personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Al fine del conseguimento del requisito contributivo, i periodi assicurativi maturati nelle diverse gestioni pensionistiche summenzionate sono cumulabili gratuitamente.
A questo punto cominciano i limiti e le contorsioni, che, alla fine, pongono al Governo una sequela di domande: perché avete messo in una Legge di bilancio, insieme al bracconaggio legalizzato dei cinghiali, una specie di “caccia al tesoro” in materia di pensioni anticipate, per di più, come vedremo, senza premi finali? Perché avete chiamato “flessibile” una disciplina rigida come uno stoccafisso nei confronti della quale la riforma Fornero somiglia a una torta di panna montata? Vediamo insieme.
Per quanto riguarda i criteri di calcolo, il trattamento conseguito in base alla fattispecie sperimentale può essere riconosciuto, solo entro un limite massimo mensile di importo, pari al quintuplo del valore lordo mensile del trattamento minimo (circa 2.800 euro mensili lordi). La successiva liquidazione in base agli ordinari criteri di calcolo ha luogo a decorrere dal mese in cui si avrebbe diritto al trattamento in base alla disciplina della pensione di vecchiaia – quindi, dal mese successivo al compimento di 67 anni. Il trattamento liquidato in base alla fattispecie sperimentale, fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, non è cumulabile con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, a eccezione parziale di quelli da lavoro autonomo occasionale nel limite di 5mila euro lordi annui.
Sono poi previste delle c.d. finestre:
– i soggetti che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2022 hanno diritto al trattamento a decorrere dal 1° aprile 2023, ovvero, se dipendenti pubblici, dal 1° agosto 2023, con presentazione della domanda di collocamento a riposo alla Pubblica amministrazione di appartenenza con un preavviso di almeno sei mesi;
– i soggetti che maturino i requisiti successivamente al 31 dicembre 2022 conseguono il diritto al trattamento a decorrere dal quarto mese successivo a quello di maturazione dei requisiti, ovvero, se dipendenti pubblici, dal settimo mese successivo – e in ogni caso non prima della suddetta data del 1° agosto 2023 -, con presentazione della domanda di collocamento a riposo alla Pubblica amministrazione di appartenenza con un preavviso di almeno sei mesi.
Per i dipendenti pubblici il possesso dei requisiti per l’accesso al pensionamento in base alla fattispecie sperimentale in esame non costituisce motivo di collocamento a riposo di ufficio, pur in caso di compimento del limite anagrafico per tale collocamento; la norma garantisce dunque al soggetto la possibilità di rimanere in servizio oltre tale limite, fermo restando il successivo collocamento a riposo di ufficio in caso di conseguimento dei requisiti posti da altre fattispecie di riconoscimento del pensionamento anticipato ovvero fino al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia (pari in genere, come detto, a 67 anni).
Oltre alle limitazioni previste nel caso dell’utilizzo della pensione anticipata flessibile (sperimentale per il 2023), la legge introduce una forma di incentivo a proseguire il lavoro, riconoscendo la facoltà, per il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che abbia raggiunto, o raggiunga entro il 31 dicembre 2023, i requisiti per il trattamento pensionistico anticipato relativi alla cosiddetta Quota 103, di richiedere al datore di lavoro la corresponsione in proprio favore dell’importo corrispondente alla quota a carico del medesimo dipendente (9,19%) di contribuzione alla gestione pensionistica, con conseguente esclusione del versamento della quota contributiva e del relativo accredito. Si demanda a un decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, da emanarsi, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore (1° gennaio 2023) della legge, la definizione delle modalità attuative della norma in esame. Dunque, un sostanziale rinvio.
Vi è poi un ulteriore limite: parecchi precettori della pensione anticipata flessibile subiranno nei prossimi due anni una penalizzazione sul versante della rivalutazione automatica della pensione rispetto all’inflazione, essendo prevista la copertura integrale fino ai trattamenti di importato fino a 2.100 euro mensili; per le fasce superiori è stabilita una rimodulazione decrescente. Il Governo Meloni non è certo il primo che manomette il sistema di perequazione automatica; l’elemento di novità sta nel fatto che il tasso di inflazione è cresciuto e pertanto gli effetti si avvertiranno.
Viene poi prorogata la disciplina dell’Ape sociale in via sperimentale a tutto il 2023, consistente in una indennità, corrisposta fino al conseguimento dei requisiti pensionistici, a favore di soggetti che si trovino in particolari condizioni; viene confermata altresì la sua applicazione alle categorie professionali indicate nelle Legge di bilancio 2022. La relazione tecnica allegata al disegno di legge stima in 20mila soggetti i lavoratori che accederanno all’Ape sociale in virtù della proroga disposta per il 2023.
Si poi discusso a lungo sulle modifiche che il Governo ha voluto apportare a “Opzione donna”, attribuendo una sorta di bonus maternità alle lavoratrici che si avvalgono di questa via d’uscita. È consentito l’accesso anticipato al trattamento pensionistico, calcolato secondo le regole del sistema contributivo, alle lavoratrici che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2022 un’anzianità contributiva pari almeno a 35 anni, abbiano un’età anagrafica di almeno 60 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni) e siano in possesso, alternativamente, di uno dei seguenti requisiti:
– assistano da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti;
– abbiano una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74% (accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile);
– siano lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa. In questo caso, la riduzione di due anni del requisito anagrafico di 60 anni trova applicazione a prescindere dal numero di figli.
Resta fermo che le lavoratrici che già entro il 31 dicembre 2021 abbiano maturato un’anzianità contributiva di almeno trentacinque anni e un’età di almeno 58 anni per le lavoratrici dipendenti o 59 anni nel caso di lavoratrici autonome possano comunque accedere al trattamento pensionistico anticipato “Opzione donna”, ai sensi dell’articolo 16, comma 1 del D.L. n.16/2019, non modificato dalle norme in esame.
Come indicato nella Relazione illustrativa, viene confermato il regime delle decorrenze che comporta il conseguimento al diritto al trattamento pensionistico trascorsi un numero di mesi dalla data di maturazione dei requisiti pari a diciotto per le lavoratrici autonome e dodici per le lavoratrici dipendenti.
Veramente, non si comprende se questa opzione abbia un suo spazio di autonomia o se ricalchi in maniera più complessa percorsi di esodo già disciplinati da altre modalità di pensionamento. In sostanza, oltre a diventare una sorta d’ircocervo pensionistico, la nuova Opzione donna ridurrà molto il numero delle possibili utenti (si prevede che da 20mila passino a 3mila).
Concludendo, condividiamo quanto ha scritto Marco Leonardi sulle norme di cui alla Legge di bilancio in materia di pensioni: “Con una mano ti dà la possibilità di anticipare la pensione e con l’altra mano te la toglie: il risultato sarà un numero minimo di anticipi pensionistici. Però entrambe le misure costano, sia l’introduzione di Quota 103 sia il bonus del 9% dei contributi per chi rimane a lavorare. Ed entrambe sono pagate con il limite alla rivalutazione delle pensioni sopra i 2100 euro mensili”.
Si vede che il ministro Calderone ha appreso la lezione di Penelope che, di notte, disfaceva la tela tessuta di giorno. I Proci di oggi, come quelli che bighellonavano a Itaca, non se ne sono accorti.
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