Le previsioni economiche della Commissione europea diffuse lunedì rendono ancora più complicato il lavoro del Governo chiamato nelle prossime settimane ad approvare la Nadef e la Legge di bilancio, soprattutto per via del taglio al Pil del 2024 al +0,8% contro la stima del +1,5% contenuta nel Def approvato ad aprile. In particolare, diventerebbe difficile far scendere l’anno prossimo il deficit/Pil al 3,7% concordato con Bruxelles varando al contempo nella manovra gli interventi di cui si sta discutendo in queste settimane che richiederebbero 4-5 miliardi di euro. A meno di non negoziare con le autorità comunitarie la possibilità di portare il deficit/Pil del 2024 ad almeno il 4% dal 4,5% previsto per quest’anno. Secondo Gustavo Piga, ordinario di Economia politica nell’Università di Roma Tor Vergata, si tratterebbe di «una richiesta buona e giusta, nel senso che quando la congiuntura peggiora la politica fiscale deve intervenire a sostegno. La mia impressione, tuttavia, è che si farà poco o niente rispetto alle esigenze del Paese. Quello che più colpisce, però, è che siamo ormai giunti a poche settimane dall’elaborazione della Legge di bilancio senza che nell’arco di un intero anno sia stata elaborata una strategia in funzione della gestione dei rischi».



Come mai, a suo avviso, ciò è avvenuto?

Semplicemente perché questo tipo di politica non esiste in Europa, dove tutto viene determinato con anni di anticipo dal Fiscal compact che rappresenta una sorta di gabbia. È come se stessimo cercando di far ritornare a camminare e poi correre un paziente dopo un lungo periodo trascorso a letto obbligandolo ad avere una gamba ingessata. E così ci ritroviamo in un Paese particolarmente debole all’interno di un continente altrettanto debole, come mostrano tutte le statistiche, che non si è dotato di una politica fiscale anti-ciclica.



Anche perché, come si sta dicendo da qualche settimana, mancano le risorse necessarie.

È sorprendente vedere come l’attuale dibattito sia caratterizzato dal mantra della mancanza di risorse quando c’è stato un intero anno a disposizione per elaborare una strategia di spending review per cercare di riqualificare la spesa e permettere perlomeno al Pnrr di entrare in funzione. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che le previsioni drammatiche della Commissione sull’Italia riguardano due anni in cui il Pnrr avrebbe dovuto già dare i suoi risultati.

Perché non è riuscito a darli?



Perché nulla è stato fatto per riqualificare la Pubblica amministrazione, specialmente per quel che riguarda le stazioni appaltanti. È impressionante constatare che dal 2000 in poi c’è stato un declino continuo del nostro Paese all’interno dell’Eurozona, nonostante i diversi Governi che si sono succeduti alla sua guida. C’è stata una costante perdita di potere economico, e dunque politico, dell’Italia nell’Ue, che a sua volta ha perso potere politico a livello globale: questo perché si sono costantemente seguite le stesse politiche fallimentari. Dovremmo quanto meno prenderne atto e fare in modo che gli investimenti pubblici tornino, come negli anni ’30 e ’50 del secolo scorso, a generare ricchezza, progresso ed equità.

In che modo?

Facendo sì che le regole fiscali siano tarate per permettere questo supporto pubblico all’economia invece che escluderlo a priori con un mantra che si fatica a non definire miopicamente liberista. In tutto il mondo il settore pubblico gioca un ruolo importantissimo, basta guardare a Cina, Stati Uniti, Brasile e India. Colpisce la miopia di un’Italia che non ricorda all’Europa i suoi doveri e di un’Europa che non ricorda all’Italia i suoi doveri.

Quali sarebbero i doveri dell’Italia?

Cito quello principale: mettere a posto la sua macchina amministrativa. In questo momento, però, nel dibattito sulla Legge di bilancio non leggo una singola proposta che riguardi la qualità della spesa pubblica, mentre è sotto gli occhi di tutti il fatto che il peso che si porta dietro il Paese è dovuto a questa carenza che genera anche a livello europeo il sospetto, e quindi la rigidità, nell’accogliere una richiesta ovvia come quella di poter supportare l’economia con un maggiore deficit.

Si sta parlando, però, di una spending review a livello ministeriale…

La proposta di Giorgetti fa eco a quelle dei Governi Monti e Letta, che verranno ricordati nella storia come fallimentari e che hanno avviato il processo di austerità che ha lasciato un segno indelebile nella capacità del Paese di riprendersi, specie nel Meridione. Occorre, invece, dotarsi, come in altri Paesi del mondo, di una Pubblica amministrazione scintillante, che non consenta di chiedersi come mai nel 2023 si lavori con stipendi che, a causa dell’inflazione, sono a livello reale più bassi del 10-15% rispetto a due anni fa. Chi può e vuole lavorare, a parte i soliti eroi, nella Pa invece che scapparsene all’estero o nel privato se queste sono le condizioni? La Pa dovrebbe essere un settore strategico, ma manca un piano su di essa nel nostro Paese.

Quale potrebbe essere questo piano?

Al Governo sanno bene che nella spesa per gli appalti si annidano sprechi, dovuti alla mancanza di competenze, per circa 60 miliardi di euro. Basterebbero investimenti per 10 miliardi per cancellare questi sprechi e liberare così risorse sei volte pari a quanto speso. Con la possibilità, oltretutto, di trasmettere un’immagine diversa agli occhi dell’Europa e ottenere regole fiscali più flessibili per il futuro. Tutto, però, resta fermo perché si dice che mancano i 10 miliardi per far partire questa operazione. C’è ormai una paura atavica di investire e spendere bene nel nostro Paese. Occorre leadership perché si possa spezzare questo circolo vizioso e attivarne, invece, uno virtuoso.

Riguardo la manovra, il Governo sembra ritenere prioritario il taglio del cuneo fiscale. Cosa ne pensa?

Si tratta di briciole. Come si può pensare che la domanda interna possa ripartire grazie a un simile minuscolo stimolo? Con questo clima economico le famiglie italiane se possono aumentano i loro risparmi oppure, come vediamo dai dati sul mercato del lavoro, cercano di fronteggiare la caduta del loro potere di acquisto lavorando di più per aumentare il proprio reddito o sbarcare il lunario, così sacrificando, però, quel tempo da dedicare alla famiglia stessa che a parole si dice di voler tutelare. Se vogliamo dare un ruolo alla famiglia abbiamo bisogno che le persone si dedichino al cosiddetto tempo libero, ma questo diventa complicato se si perseguono politiche malsane che costringono gli italiani a trovare soluzioni per arrangiarsi.

Con gli attuali margini, su quale intervento andrebbero, a suo avviso, concentrate le risorse?

Se ci fossero quei 4-5 miliardi di cui si parla, li dedicherei a a un progetto per creare 200 stazioni appaltanti provinciali piene di giovani e di esperti – architetti, ingegneri, giuristi, informatici, tecnici – per far sì che il Pnrr e tutta l’immensa galassia degli appalti pubblici possano aumentare il loro contributo, attualmente vicino al 20%, alla generazione della ricchezza del Paese.

Per il Governo e la maggioranza vorrebbe dire dover rimandare alcuni degli interventi promessi agli elettori…

La politica fatica a digerire gli investimenti: un utilizzo della spesa che dà valore al futuro, anche a costo di distogliere risorse da obiettivi di breve termine. Il Governo Meloni è stato eletto anche a causa di un’insoddisfazione generale rispetto alle politiche economiche del passato, ma bisogna prendere atto che le sue somigliano tantissimo a quelle dei precedenti Esecutivi.

Torniamo alle previsioni della Commissione. Nel presentarle, è come se Bruxelles prendesse atto di una situazione economica sfavorevole, ma non indicasse poi come uscirne. È così?

Quello che dice è giustissimo: sembra che la Commissione europea e il Mef siano degli uffici studi che formulano previsioni senza indicare come intendono reagire al mutato scenario macroeconomico. È evidente, allora, che gli elettori cercheranno altrove le risposte alla situazione di malessere che vivono sulla loro pelle e tutto questo finirà per aumentare l’avvelenamento lento ma sottile del nostro continente in termini di rafforzamento di populismi e di partiti che rappresentano valori che non dovrebbero essere accolti in Europa.

Cosa pensa, invece, delle critiche arrivate dal Governo italiano al Commissario Gentiloni?

Non bisogna cercare capri espiatori dove non ci sono. Si capisce bene che dietro le quinte Gentiloni lavora per raffreddare i toni e i sospetti verso l’Italia. Il percorso vero lo deve fare la politica, sia italiana che europea, con le sue scelte. In tal senso veniamo da 20 anni di errori. Occorrono, quindi, soluzioni che in tutto il mondo sono adottate: una sana politica fiscale per prevenire e fronteggiare i periodi di difficoltà. Una riforma del Patto di stabilità che escluda gli investimenti pubblici dalle regole di rientro del deficit sarebbe già un passo in avanti. La mia impressione, però, è che si continuerà con politiche fiscali che, come spiegavo all’inizio, rappresentano un’ingessatura per un paziente convalescente.

L’austerità resta, dunque, una minaccia concreta.

L’austerità è sotto gli occhi di tutti. Se un’economia va male e la politica economica non reagisce, questa non è altro che austerità, insita in regole fiscali che nessun Governo si azzarda a contestare davvero.

(Lorenzo Torrisi)

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