Lasciamo ai macroeconomisti il giudizio sull’impatto che la manovra di bilancio varata dal Parlamento avrà sulla economia italiana. L’impressione è che si tratti di una politica all’insegna della prudenza esattamente come lo scorso anno, costretta a fare i conti con una possibilità di intervento sulla congiuntura molto ridotta dal peso di un debito che arriva a tremila miliardi di euro e da un nuovo Patto di stabilità che lascia più tempo, ma non più spazio. Prudenza, dunque, e appello alla stabilità, quella politica in primo luogo. Niente “lacrime e sangue”, né “macelleria sociale”, non c’è nulla che assomigli alla motosega di Milei molto coccolato, ma ben poco seguito (ammesso che sia possibile e che la sua ricetta funzioni in un’Argentina sempre sull’orlo della bancarotta).
Il Governo ha deciso di concedere qualcosa a tutti, chi più chi meno, tenendo d’occhio gli elettori e i ceti sociali di riferimento, con l’obiettivo di evitare la sindrome francese: il buon Barnier ha detto la verità e proposto un aggiustamento tra tagli e tasse da 60 miliardi di euro ed è durato lo spazio di un mattino. Né Giancarlo Giorgetti, né (tanto meno) Giorgia Meloni vogliono seguire le sue orme. Il realismo è prevalso sugli eroici furori e tutto sommato non è male.
Lo spread si riduce, il debito appare più sostenibile, stiamo parlando di aggiustamenti ancora marginali, ma vanno nella giusta direzione. Il costo del nuovo debito balzato dallo 0,1% nel 2020 al 3,765% nel 2023, ora si è ridotto al 3,4%. Ancora molto sia chiaro, ma è importante che la curva continui a scendere: si prevede un risparmio di 17 miliardi di euro in cinque anni. Le agenzie di rating apprezzano e, anche se non migliorano la pagella, che resta sempre ai limiti dell’insufficienza, tuttavia danno un outlook positivo.
Prudenza e stabilità sono due virtù, ma basteranno ad affrontare un 2025 che si presenta più difficile del 2024? La crescita non va come il Governo vorrebbe e come aveva previsto: l’un per cento pronosticato ancora l’estate scorsa per il 2024 resta lontano (l’ultimo rapporto di EY prevede che il prodotto lordo aumenti di appena mezzo punto, mentre l’anno prossimo non si dovrebbe andare oltre un +0,8%). Gli investimenti privati calano di oltre tre punti quest’anno e continuano a ridursi, quelli pubblici dipendono tutti soltanto dal Pnrr perché la manovra di bilancio punta a difendere i consumi, non gli investimenti.
Insomma, uno scenario da quasi stagnazione, mentre non è possibile ancora fare un calcolo attendibile sull’impatto della crisi industriale che, dall’automobile e dall’abbigliamento, si sta estendendo alla maggior parte dei settori produttivi. L’accordo raggiunto con Stellantis al ministero del Made in Italy sblocca due miliardi di euro a partire dal prossimo anno, intanto bisognerà passare il 2025 che si preannuncia come un anno difficile, una sorta di cartina di tornasole.
Intanto, la politica di bilancio rinuncia ad alcune delle promesse sulle quali i vari partiti avevano issato le loro bandierine. Viene rinviato di nuovo il taglio dell’Irpef al ceto medio. Chissà se mai si farà, certo non prima che aumenti la torta da distribuire. La grande riforma dell’Irpef annunciata in pompa magna due anni fa è difficile a questo punto che veda la luce prima in questa legislatura. Intanto diventa strutturale l’Irpef a tre aliquote, con una forte anomalia locale: regioni e comuni continueranno ad applicare le loro addizionali così che di fatto quasi ovunque le aliquote resteranno quattro.
Se vogliamo gettare uno sguardo a volo d’uccello possiamo vedere che saltano le promesse fatte sulla web tax e le cripto attività. Resta invece l’incentivo per chi assume, cioè una deduzione del 120% sul costo del lavoro incrementale per nuovi assunti a tempo indeterminato. Se ben applicata può aiutare le assunzioni soprattutto di giovani, il rischio è che aumentino i posti di lavoro fasulli, o meglio creati ad hoc, per incassare il contributo. Ciò aumenta gli occupati, ma riduce la produttività. Più efficace è la riduzione dal 10% al 5% della cedolare secca sui premi di produttività.
Si chiude l’anno prossimo con il Superbonus e il bonus caldaie. Resta per i cantieri aperti dal 15 ottobre scorso. Non sono pochi, quindi non ci sarà nessun colpo di spugna e la ricaduta della bonanza passata sul bilancio dello Stato è destinata a durare ancora. Mentre la politica delle mance rientra dalla finestra con una miriade di interventi, vere e proprie concessioni territoriali (ed elettorali). Lo denuncia Il Sole 24 Ore che stima in 102 milioni quel che il bilancio pubblico dovrà stanziare entro il mese prossimo. Una pioggia di misure improbabili fatte apposta per raccogliere voti e consensi sul territorio. Forza Italia è stata apparentemente la più abile, visto che ha infilato 46 provvedimenti in un solo ordine del giorno.
Di riffe o di raffa, prima o poi arriva l’assalto alla diligenza. Almeno finché continua questo sistema che, nato per lasciare spazio anche alla politica della fontanella sotto casa, finisce per seminare una miriade di mine sul bilancio dello Stato. Così il “dividendo della prudenza” che piace a Giorgetti diventa un dividendo della clientela.
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