Rispetto dei tempi e rigore sui limiti della spesa. Su questo binomio la proposta per la nuova Legge di bilancio approvata dal Consiglio dei ministri intende marcare il passaggio dagli interventi messi in campo per sostenere le imprese, i lavoratori e le famiglie durante l’emergenza Covid, alle iniziative rivolte a consolidare la ripresa economica.
Tutto questo nasce dalla consapevolezza, più volte esplicitata dal Presidente Draghi, ribadita nella conferenza stampa di ieri, che i risultati ottenuti sul fronte delle vaccinazioni, e il capitale di fiducia accumulato in questi mesi, che hanno fornito il carburante per una ripresa economica più sostenuta rispetto alle previsioni del precedente Governo, dovranno nel breve periodo fare i conti con le variabili esterne: la fuoriuscita dalla sospensione del Patto di stabilità europeo, le incognite derivanti dai precari equilibri geopolitici internazionali, la rapida crescita dell’inflazione. Senza trascurare la necessità di uscire dalla storica incapacità italica di utilizzare in modo efficiente le risorse pubbliche disponibili.
Nei mesi recenti il tema è rimasto sottotraccia. Offuscato dalle promesse di riforme fiscali con costi insostenibili per la finanza pubblica, sterilizzate dai paletti fissati nella proposta di legge delega approvata dal Consiglio dei ministri, e dalle richieste di allungare nel tempo gli aiuti pubblici per i settori economici colpiti dalla crisi e per le varie categorie dei lavoratori.
Alla vigilia dell’approvazione del Documento programmatico di bilancio, l’elenco delle promesse e delle aspettative era abbondante: oltre 10 miliardi per avviare la riforma del fisco, 9 per prolungare il superbonus del 110% per le ristrutturazioni abitative, 8 per la riforma degli ammortizzatori sociali, 4 per la fuoriuscita da Quota 100. Nell’insieme, oltre 30 miliardi di euro da sommare a quelli dei provvedimenti previsti per rafforzare con risorse nazionali l’attuazione del programma Next Generation Eu, per gli investimenti nel settore della sanità, e per coprire il fabbisogno delle spese indifferibili.
Il ridimensionamento delle aspettative è stato drastico, e ha colpito in particolare la componente della spesa sociale. La riduzione di 5 miliardi degli oneri a carico dello Stato per la riforma degli ammortizzatori sociali comporterà di fatto l’accantonamento dei propositi, contenuti nella proposta del ministro del Lavoro Orlando, di estendere le casse integrazioni all’universo mondo delle imprese e dei lavoratori, utilizzando i 3 miliardi resi disponibili per rafforzare gli strumenti esistenti, in particolare le indennità di disoccupazione.
Il contingentamento della spesa per le pensioni mette la parola fine alle aspettative di allungare il brodo dei pensionamenti anticipati di Quota 100. La proposta di Quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi) limitatamente al 2022 rappresenta una mediazione ragionevole per consentire un’ultima via di uscita per i lavoratori che non hanno utilizzato l’anticipo introdotta dal Governo giallo-verde. Gli sforzi futuri dovranno necessariamente essere concentrati sulla quota dei lavoratori anziani che perdono involontariamente il lavoro in prossimità dell’età di pensione e ci vorrà attenzione per i lavori usuranti, potenziando l’Ape social. La priorità di indirizzare le risorse per contenere i costi sociali per i lavoratori anziani più esposti alle conseguenze delle crisi aziendali motiva la novità della costituzione di un fondo di 600 milioni di euro per la specificità delle piccole imprese.
L’operazione è stata chirurgica, anche se a scampare dalla mannaia, almeno in parte, è stato proprio quel Reddito di cittadinanza che, stante le polemiche suscitate sugli abusi, sembrava destinato a diventare una sorta di capro espiatorio per la riduzione della spesa assistenziale. Su questo versante vengono formalmente aumentate le risorse (circa 1 miliardo) per il 2022, per mantenerle in linea con quelle previste per l’anno in corso, ma riducendole rispetto alla previsione di una crescita del numero dei beneficiari. Una riduzione che dovrebbe scaturire da una verifica più rigorosa dei requisiti per l’accettazione delle domande, e dal rafforzamento delle sanzioni, dalla riduzione graduale dell’importo dopo i primi 6 mesi di usufrutto, e con la perdita del sussidio per chi rifiuta le offerte di lavoro, a partire dalla seconda. Misure tutto sommato abbastanza blande, che dipendono in buona misura dalla capacità delle amministrazioni, al momento non dimostrata, di attuare questi interventi. Come evidenziato in un precedente articolo, queste misure non sono in grado di correggere la scarsa efficacia del Rdc sul doppio versante del contrasto della povertà e delle politiche attive per il lavoro.
Su questo tema anche il Governo Draghi non sembra esente dalla retorica sulla povertà che confonde il dovere di aiutare le persone povere con la verifica dell’efficacia degli strumenti che vengono utilizzati per questi scopi.
Il rigore messo in campo per limitare l’espansione della spesa pensionistica e dei sostegni al reddito per motivi di lavoro, circa 7 miliardi in meno rispetto ai 12 rivendicati, non deriva solo dai vincoli economici di breve periodo, ma è una scelta volta a privilegiare la riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro, a favore dei salari netti e dei contributi pagati dalle imprese.
Un tabella elaborata dai tecnici della Ragioneria generale dello Stato mette in evidenza che nei prossimi 15 anni dovremo fare i conti con la miscela esplosiva dell’aumento del numero medio annuale delle pensioni relazionato alla fuoriuscita dal mercato del lavoro delle generazioni del baby boom, con saldo aggiuntivo di oltre 1,5 milioni di pensionati nel 2035, e la parallela riduzione dei nuovi ingressi lavorativi, derivante calo della natalità registrata nel corso degli anni ’90 e successivi, che provocherà una perdita di 5 milioni del numero delle persone residenti in età di lavoro.
Nel futuro, anche immediato, diventa necessario mettere al centro delle politiche l’incremento del tasso di occupazione, in particolare dei giovani e delle donne, e degli interventi rivolti a favorire l’invecchiamento attivo della popolazione.
La scelta di limitare le proroghe del superbonus del 110% sulle ristrutturazioni residenziali, richiesta a furor di popolo, invita a riflettere sulla congruità del rapporto tra costi e benefici della misura. Anche la stessa associazione dei costruttori (Ance) riconosce, in via di fatto, come l’eccessiva generosità dell’intervento a carico dello Stato abbia di fatto contribuito a una crescita speculativa dei prezzi degli interventi, ridotto i benefici effettivi per i cittadini, e peggiorato i risultati ottenuti in rapporto all’entità delle risorse investite rispetto dagli incentivi precedenti.
Il percorso parlamentare di queste scelte si preannuncia problematico. Dovrà fare i conti con le residue tentazioni del M5S e della Lega, in questo caso tra loro contrapposte, di difendere i provvedimenti cardine del primo Governo giallo-verde e quelle presenti in tutti i gruppi parlamentari rivolte a tutelare i diversi interessi corporativi.
Tutto sommato, nella fase attuale queste tendenze rappresentano una manifestazione della debolezza delle attuali coalizioni politiche. Una diluizione in mille rivoli del disagio dei parlamentari che non scalfisce l’autorevolezza dell’Esecutivo in carica. Qualche mediazione nella discussione alle Camere rimane possibile, ma l’impianto della proposta di Legge di bilancio appare destinato ad essere confermato nel percorso parlamentare.
Con l’approvazione della Legge di bilancio si chiuderà nei fatti un lungo ciclo della politica italiana costellato dai fallimenti dei propositi riformatori della Seconda repubblica e dall’inconsistenza delle pretese anti-elitarie del breve ciclo populista. Le pagine della nuova fase politica saranno scritte dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, ma il percorso sembra incanalato sui giusti binari.
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