A pochi giorni dall’approvazione della Legge di bilancio e a oltre 4 mesi dalle indicazioni dell’Europa per le linee guida della programmazione  del Next Generation Eu per risollevarci dalla pandemia e dall’economia che ha devastato noi e gli altri 27 Paesi dell’Ue, le politiche di pari opportunità sono ancora una volta desaparecidas. Poste  genericamente al 5° posto nell’elenco nelle missioni del Pnrr (equità sociale, di genere, territoriale): mentre tra i tanti nodi irrisolti nel nostro Paese vi è l’insufficiente integrazione delle donne nel mondo del lavoro. Per l’Italia, l’utilizzo del Recovery fund deve includere tra gli obiettivi generali un deciso aumento dell’uguaglianza di genere realizzato a partire dall’accesso al lavoro retribuito, visto anche il progressivo aumento della differenza tra Italia e Ue con un divario fino a 14,1 punti nel 2019 e ora con la contrazione occupazionale femminile dovuta alla pandemia. Non ci potrà essere alcuna strategia futura di ripresa fino a che la scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro non sarà una priorità del Paese. 



Bisogna considerare in modo esplicito e prioritario l’obiettivo di un innalzamento significativo dell’occupazione femminile nella scelta e nella definizione dei progetti su cui puntare. Invece che essere presente a livello trasversale – come richiede una strategia che punti sull’occupazione delle donne per la crescita -, la dimensione di genere rimane circoscritta all’interno della missione 5 ed esclusivamente con riferimento alle “politiche sociali e di sostegno alla famiglia”. Debolissimo il generico  “equità … di genere”; l’accento deve essere sulla promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne (o riduzione della discriminazione nei confronti delle donne). La bassa occupazione femminile non è dovuta esclusivamente alla difficoltà di conciliazione, ma all’insufficiente creazione di posti di lavoro buoni – soprattutto nel Mezzogiorno -, che pone  molte giovani donne in condizioni di grande svantaggio anche prima di diventare madri. E le condizioni di precarietà in cui si trovano oggi molti giovani donne incidono sulle loro scelte riproduttive. Il problema della cura di tutta la famiglia e del sovraccarico di lavoro per le donne in età lavorativa è un nodo cruciale che va affrontato e risolto certo con i servizi  strutturali all’infanzia e alla genitorialità, ma soprattutto con lavori sicuri. 



E veniamo alla Legge di bilancio 2021 e chiariamo un aspetto importante. Ipoteticamente dovrebbe abbracciare un periodo di tre anni, ma conti alla mano l’enfasi caricata sui provvedimenti  per le politiche di pari opportunità e le donne è non solo eccessiva, ma soprattutto ambigua con fondi non aggiuntivi. All’articolo 2 si parla di assegno universale e servizi alla famiglia per l’anno 2021/2022 e non si chiarisce come sarà elargito l’assegno (da luglio prossimo), come si coniuga con l’assegno in vigore per la nascita dei figli (bonus bebè) e come viene calcolato. L’articolo 5 in via sperimentale (?) per il biennio 2021-2022 estende a tutte le assunzioni di donne, effettuate a tempo determinato (?) nel medesimo biennio lo sgravio contributivo già  previsto dalla precedente normativa elevando dal 50 al 100 per cento la riduzione dei contributi a carico del datore di lavoro. Presentato come una novità, si ricorda che il provvedimento è già operativo esattamente dal Fondo sociale europeo e prima nelle regioni obiettivo per la coesione sociale, poi esteso a tutto il territorio per  sostenere l’occupazione di tutta la popolazione femminile. La novità sarebbe se lo sgravio contributivo non fosse sperimentale ma fino a quando non si raggiunge una parità di occupazione femminile/maschile. 



All’articolo 17 si parla di Fondo per il sostegno all’imprenditoria femminile, anch’esso sempre previsto dal FSE: è un Fondo che la Ministra Fornero nel 2012 creò e che è solo stato ripristinato così come il Comitato impresa donna. Niente di nuovo, così come ambiguo è l’articolo 17 Bis relativo al Fondo per il sostegno del capitale di impresa femminile, con il dilemma che se è legato al fondo di garanzia il sistema bancario in affanno porrà dei requisiti di restituzione capestro. All’articolo 59 si parla di un Fondo Caregiver, con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023. Si tratta però di un fondo già  previsto dalla Legge di bilancio del 2017 e stiamo parlando dunque di risorse già accantonate negli anni precedenti, destinate  alla copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale svolta dai caregiver familiari sui quali è in corso una lotta nella maggioranza per la destinazione e la denominazione nonostante la legge parli chiaro su chi deve essere destinatario delle risorse. 

L’articolo 66 è dedicato ai congedi di lavoro per i papà: si uniforma la normativa italiana alla direttiva europea che siamo obbligati a recepire. Dai nostri 7 giorni attuali a 10 imposti dall’Ue. L’articolo 147 prevede 1 miliardo in più ai Comuni di Italia per sostenere gli asili nido: non creare nuovi nidi, ma un generico sostegno. Ricordiamo che posti a disposizione negli asili nido sono circa 355 mila, di cui il 51 per cento pubblici e il 49 per cento privati. Il tasso di copertura della fascia 0-2 anni è pari al 24,7 per cento, ben al di sotto di quello che l’Unione europea aveva raccomandato di raggiungere entro il 2010 (33 per cento).