Una squadraccia di inventori di fake news si è riunita ieri notte in un antico palazzo di Roma e verso le cinque del mattino ha iniziato a “spammare” sul web notizie frammentarie e imprecise asseritamente riconducibili ad alcune misure fiscali che secondo i manipolatori dovrebbero essere applicate in Italia nei prossimi mesi. Poi, qualcuno di quegli hacker ha avuto un sussulto di coscienza e ha chiarito che quelle informazioni erano da considerarsi una realtà provvisoria e parziale, perché rappresentavano decisioni prese “salvo intese”.
La manovra economica del Governo Conte-2 varata questa mattina attorno alle 5 dal Consiglio dei ministri potrebbe essere rappresentata anche così. Mai era accaduto che neanche dopo sei ore di confronto il documento che l’Italia è obbligata a inviare alla Commissione europea fosse approvato senza un’intesa stabile tra le forze politiche che appoggiano l’esecutivo. Tutto è ancora reversibile tra ministri e partiti, quindi, prima che in Parlamento se ne possa discutere formalmente e a seconda delle infinite tensioni e negoziazioni che intercorrono tra Cinquestelle, Pd e renziani, con patetica partecipazione di Leu.
“La manovra è espansiva, dobbiamo ritenerci soddisfatti”, ha detto quel buontempone del premier Conte, alla fine: “Pure in un quadro di finanza pubblica particolarmente complesso siamo riusciti a evitare l’incremento Iva che era il nostro primo obiettivo e poi potendo ridisporre di risorse finanziarie aggiuntive che si sono manifestate nelle ultime settimane siamo riusciti a costruire una manovra che realizza vari punti del programma di governo”.
Sarà. Ma per ora non viene da fidarsi. Perché, alla fine, cosa significa quel “salvo intese”? Riandiamo a colui che per primo coniò la scellerata formuletta: non Giuseppe Conte, ma il sussiegoso e rispettabilissimo Mario Monti, arci-italiano nei difetti pur se di apparente osservanza tedesca. Era il 2012 e il 23 marzo la Presidenza del Consiglio aveva emesso un comunicato che iniziava così: «il Consiglio dei Ministri ha approvato oggi, salvo intese, il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro». Cioè, ieri come oggi, il Governo si riservava di modificare il disegno di legge prima di sottoporlo al Parlamento (che poi naturalmente avrebbe comunque conservato, come conserverà, il potere di emendarlo: e meno male).
Dunque un atto politico del Governo contro se stesso. Un modo di premier e ministri per dire: “Noi non bastiamo a noi stessi”. Gli uomini che materialmente siedono nell’esecutivo, scollegati per forza maggiore da loro danti causa e ancor più da quei “grandi elettori” che sono – rispetto alle leggi da approvare – deputati e senatori, decidono di non decidere formalmente per prendere altro tempo e destinarlo ai compromessi.
Dunque ciò che tutti i media hanno iniziato a fare dalle 5:30 di questo grigio 16 ottobre non è riportare i contenuti della legge di manovra economica, ma i suoi “probabili contenuti”: che vanno ancora presi col beneficio dell’inventario. Il giudizio che sorge spontaneo su questa procedura non richiede circonlocuzioni: è uno schifo. Ma così è.
E veniamo stancamente all’elenco di cosa contiene quest’insalata mista e provvisoria. Innanzitutto, il rinvio dell’aumento dell’Iva, rinvio che già il Conte-1 dava per certo da giugno, con buona pace dell’odierna grancassa. I rincari, che avrebbero dovuto essere di 23,1 miliardi per il 2020, sono stati sterilizzati.
Quota 100: marameo a Matteo Renzi, resta invariata. E anzi in alcuni casi gli assegni verranno incrementati. A Rignano meditano vendetta. Restano però la renziana cosiddetta Ape Social, cioè il prepensionamento per le categorie usurabili, e l’Opzione Donna per il prepensionamento femminile. Per le famiglie si destina poco e nulla, 600 milioni, che il ministro dell’Economia Gualtieri ha sintetizzato come “una serie di misure a partire dalla gratuità degli asili nido per gran parte della popolazione e un piano per la costruzione di nuovi asili nido”. Si cancellerà il superticket e dovrebbe aumentare il sostegno alla disabilità.
La riduzione del cuneo fiscale ci sarà sin dall’anno prossimo ma di soli 3 miliardi, forse destinati a salire a 5 nel 2021 (salvo intese sulle intese), a premiare i redditi fino a 35.000 euro: soldi che verrano dati ai lavoratori, ma non alle imprese. Benservito alla Confindustria. Il tetto al contante scenderà dai 3.000 euro attuali a 2.000 l’anno venturo e a 1.000 nel 2022, e anche su questo Renzi medita sfracelli.
La lotta al contante si direbbe l’unica mossa di qualche rilievo nel pomposo ma vacuo capitolo della lotta all’evasione, che pure contiene numerose regolette seminuove, come il contrasto alle elusioni delle cooperative e l’inasprimento delle pene per i grandi evasori (fino a otto anni per falsa dichiarazione).
Venendo alle misure per l’industria, lo strombazzato “green new deal” di Conte si limiterà ad un non meglio precisato fondo per la promozione degli investimenti sostenibili. Qualche soldo al Sud, che per ora il Governo stesso non vanta più di tanto. Si prosegue – meno male – con gli incentivi del programma “Industria 4.0” per sostenere gli investimenti privati e favorire il rinnovo dei sistemi produttivi: Fondo centrale per le piccole e medie imprese; super e iper ammortamento (per beni tecnologici, ma anche software ed economia circolare); il rifinanziamento della legge Sabatini; il credito di imposta per la “Formazione 4.0”.
Le ormai storiche detrazioni per sostenere alcuni consumi vengono confermate: quella per la riqualificazione energetica e le ristrutturazioni, per l’acquisto dei mobili e degli elettrodomestici verdi, e arriva un bonus per i condomini che restaurano la facciata.
E le coperture? I 7 miliardi attesi dall’evasione dimagriscono a 3. E forse non a caso il carcere agli evasori resta tra le misure non precisate.