Il disegno di legge di bilancio 2024-2026 depositato in Senato e in discussione in questi giorni in Parlamento è stato ed è oggetto di un acceso dibattito politico e nella società, in particolare con riferimento alle risorse stanziate per il finanziamento del Sistema sanitario nazionale (Ssn). Il dibattito come sempre in questi casi è concentrato soprattutto sul finanziamento previsto dal Governo nel prossimo triennio. Come certificato dalla Corte dei Conti, il finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale prevede un incremento compreso tra i 3 miliardi di euro (2024) e i 4,2 miliardi (2026), raggiungendo quindi un finanziamento totale di 134 miliardi di euro nel 2024, 135,4 miliardi per il 2025 e 135,6 miliardi nel 2026.
La gran parte di questo stanziamento aggiuntivo (2,4 miliardi all’anno) è destinato al rinnovo contrattuale dei professionisti del Ssn e 280 milioni di euro all’anno sono destinati all’incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive. Appare, quindi, evidente che la gran parte delle risorse andrà a coprire mancati adeguamenti retributivi del personale del comparto sanitario.
I professionisti sanitari hanno mostrato ultimamente segni di profonda sofferenza lavorativa alla ricerca di fonti di integrazione del reddito aumentando di anno in anno la quota di energie dedicate ad attività intramoenia (l’attività libero-professionale privata nell’ambito delle strutture pubbliche), che nel 2023 è cresciuta del 12,3% rispetto al 2022, con evidenti squilibri tra le diverse aree del Paese e che varia tra il 9,7% nel Nord-ovest e il 10% al Centro, il 14% nel Nord-est e il 25% nel Mezzogiorno. A questo proposito è curioso notare l’associazione positiva tra la crescita dell’attività svolta dai professionisti in questo regime e la fragilità dei sistemi sanitari regionali: dove il sistema è più fragile, l’attività svolta privatamente dai professionisti all’interno delle strutture ospedaliere pubbliche è cresciuta maggiormente. In questo senso sembra quindi che quella quota di risorse della manovra destinate all’incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive potrebbe essere una prima risposta.
Le condizioni lavorative di difficoltà in cui molte strutture pubbliche si trovano hanno svariate cause e alcune non sono facilmente risolvibili nel breve termine. Basti pensare, da un lato, ai pensionamenti, dall’altro ai licenziamenti del personale a favore di assunzioni in strutture private o Paesi stranieri – soprattutto se vicini – dove le condizioni retributive e lavorative sembrano essere migliori. Questi elementi hanno certamente indotto il Governo a investire cospicue risorse nel cercare di rendere più appetibile il Ssn e quindi riconoscere ai professionisti del sistema stesso adeguate retribuzioni. Rimane poi da capire se questa decisione, necessaria per adeguare il contratto lavorativo fermo da parecchi anni, possa effettivamente da solo indurre parte del personale a rimanere nelle strutture del Ssn fermando così l’emorragia di questi ultimi mesi. In altre parole, l’intervento in finanziaria mira a sanare una grave criticità in cui versa il sistema, ma probabilmente non sarà risolutivo di tutte le difficoltà legate alla carenza di personale che chi lavora in queste strutture sperimenta quotidianamente.
Il Governo decide di affrontare in questa Legge di bilancio un’emergenza che probabilmente non è più rimandabile, anche se bisogna ammettere che a fronte di questo copioso investimento sul personale, nel disegno di legge rimane poco (o molto poco) per altre misure strategiche di cui il sistema necessita. La manovra è stata definita da più parti “prudente”, nel senso che in un quadro macroeconomico difficile destina risorse volte a tamponare le emergenze più gravi al prezzo di lasciare in sospeso riforme strutturali sulle liste di attesa e la difficoltà ad accedere ai servizi sanitari. La manovra appare, quindi, più debole nel rispondere a carenze strutturali decennali che non accennano a migliorare, come per esempio il mancato accesso alle prestazioni.
Il problema del mancato accesso alle cure è una priorità comunitaria ed Eurostat stima nel 4,8% il tasso europeo di mancato accesso alle cure per chi ha bisogno di un esame specialistico o trattamento. In Italia si stima un mancato accesso alle visite o alle cure nel 2021 pari al 2,4% tra coloro che ne avrebbero bisogno, in particolare a causa di problemi legati alle liste di attesa o alla disponibilità a pagare. Questa proporzione raddoppia per la parte più bassa della distribuzione del reddito, dove più del 6% nel quinto più povero della popolazione non riesce ad accedere ai servizi offerti dal Ssn. In aggiunta, le medesime stime riportano che il mancato accesso è sensibilmente più alto per chi ha un livello di istruzione più basso rispetto a chi ha conseguito un più alto titolo di studio. In aggiunta, il 13% dei cittadini ha difficoltà ad accedere ai servizi offerti dal Ssn a causa di non disponibilità a pagare.
In sintesi, l’intervento in manovra è positivo soprattutto per i professionisti del sistema, che beneficiano anche della riduzione del cuneo fiscale sempre introdotto in finanziaria, ma certamente sul tavolo rimangono molte sfide che andranno affrontate – anche queste con urgenza – nei prossimi anni.
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