Oggi all’Ecofin in Lussemburgo Roberto Gualtieri potrà illustrare ai colleghi europei la Nota di aggiornamento del Def su cui non mancano dei rilievi in Italia. Intanto i ministri dell’Economia e delle finanze dell’Eurozona potranno prendere anche visione di un discussion paper della Commissione in cui si invitano i paesi che hanno margini di bilancio, come la Germania, a mettere in atto politiche fiscali per contrastare la crisi. Abbiamo fatto il punto della situazione con Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.



Professore, la Nadef presenta una non convergenza verso il pareggio di bilancio nei prossimi tre anni e un rapporto debito/Pil sopra il 135% sia nel 2019 che nel 2020. Questo può rappresentare un problema per l’Europa?

Guardi, prima di questo c’è da dire che, come è già stato evidenziato da Upb, Corte dei Conti e Banca d’Italia, è prassi consolidata che le stime sul gettito da recupero dell’evasione fiscale si mettano a bilancio solo sulla base di quanto già viene recuperato. Non si possono quindi inserire cifre come i 7 miliardi stimati dal Governo non si sa bene sulla base di quale assunto. Le coperture devono essere tangibili, certe, concrete. Ritengo che la Commissione vorrà quanto meno che venga inserita una qualche clausola di salvaguardia per garantire l’eventuale mancato gettito rispetto a quello stimato. Questo ovviamente rappresenterà un’incognita importante per l’anno prossimo.



Torniamo ora ai parametri di bilancio contenuti nella Nadef.

Anche ipotizzando una deroga in relazione agli investimenti, mi pare che immaginare una flessibilità così ampia da parte dell’Europa sia azzardato, nel senso che bisogna riuscire a garantire che il debito pubblico non segua una traiettoria crescente. Se l’anno scorso il limite era del 2,04%, non è possibile che quest’anno il deficit sia del 2,2% del Pil. Io ritengo che ci verrà chiesto di tagliare le spese o aumentare le entrate. Sul primo fronte mi sembra difficile un intervento in tempi rapidi e non impopolari, se non sulle spese degli enti locali: più facile aumentare qualche accisa o rimodulare l’Iva.



Non pensa che, vista la fase economia sfavorevole e i buoni rapporti politici tra Roma e Bruxelles, ci sarà un atteggiamento più morbido da parte della Commissione?

Potranno farci guadagnare tempo, come già successo in passato, quando il vero giudizio sui conti è arrivato in primavera. A quel punto all’interno della maggioranza immagino ci saranno fibrillazioni, come già si vedono ora, perché bisognerà scegliere quale spesa tagliare o quale imposta aumentare.

Non potranno tornare utili, come già accaduto quest’anno, le minori spese per Quota 100 e Reddito di cittadinanza?

Probabilmente qualche risparmio da Quota 100 ci sarà, mentre il Reddito di cittadinanza, entrando a regime, costerà sempre di più. Sarebbe in realtà questa la voce su cui intervenire con delle riduzioni, ma Di Maio e M5s non lo consentiranno. D’altronde una vera spending review o una revisione delle tax expenditures sono temi politicamente troppo sensibili per una maggioranza così eterogenea.

Anche la Commissione europea, come ha già fatto Draghi, chiede ai paesi come la Germania politiche fiscali espansive. Secondo lei Berlino cosa farà?

La Germania dovrebbe farlo già adesso. D’altronde è giusto che per fronteggiare la crisi i paesi in surplus spendano. Già con il Rapporto Delors, alla fine degli anni ’80, avendo rilevato che non c’è una politica fiscale dell’Ue, si è detto che ci deve essere una politica comune che, mediante l’accordo tra i paesi membri, combini l’equilibrio del bilancio con la politica fiscale. Quindi è previsto dalle regole europee che i paesi in surplus, quando c’è un rallentamento economico, spendano di più. Non si sa se la Germania lo farà. Probabilmente farà il minimo indispensabile, perché la situazione del Governo è già delicata e non si vuol dare l’impressione di aiutare le “cicale” europee.

Durante l’audizione al Parlamento europeo, Valdis Dombrovskis ha aperto a una “semplificazione” delle regole del Patto di stabilità e crescita. Secondo lei si arriverà mai a un cambiamento?

Il vero problema è che ci sono interpretazioni delle regole che non aiutano. Il patto di stabilità, per esempio, dice che bisogna preferire gli investimenti alle spese correnti e riforme strutturali del mercato del lavoro che vadano verso la flessibilità. Cosa che l’Italia non fa. Anzi, è convinta di aver reso il mercato del lavoro più flessibile con il Jobs Act. In buona sostanza, si preferiscono i “patteggiamenti”, gli accordi politici sull’interpretazione da dare a queste regole. In teoria sarebbe possibile modificarle, ma un debitore come l’Italia non riuscirà mai a farsi ascoltare. Andare in ginocchio a chiedere deroghe o avere altri fronti aperti come quello dei migranti, di certo non aiuta. Noi quindi non abbiamo forza, la Francia ha proposte che la Germania non accetta e quindi non vedo come possano essere fatte delle modifiche alle regole. Cosa che in ogni caso richiederebbe poi un lungo processo di attuazione.

Dunque l’Italia resterebbe coi suoi problemi…

Sì, mentre si penserà a come far tornare i conti, resteranno intatti i problemi della crescita, che poi sono quelli fondamentali. Finché l’economia è ingessata da un mercato del lavoro non flessibile, dai tempi lenti della giustizia, da un alto livello delle imposte, non c’è crescita se non al traino degli altri. Cosa che in questo periodo non è possibile.

(Lorenzo Torrisi)