Il 30 dicembre il Senato ha approvato tramite fiducia la legge n. 178 del 2020 (Legge di bilancio 2021). L’assenza di un reale dibattito parlamentare per l’inedito ritardo nei passaggi parlamentari e l’oramai usuale formula dell’unico articolo contente il c.d. maxiemendamento approvato dalla Camera, che comporta la divisione dello stesso in un’infinità di commi (quest’anno 1150), sta rendendo molto complessa la ricostruzione di quale sia il contenuto esatto del provvedimento. 



Sono mediaticamente conosciute alcune misure per il contrasto al virus Sars-Cov2 e la conferma di diversi incentivi rivolti soprattutto a cittadini e famiglie (bonus mobili, bonus figli ecc.). Particolare attenzione è stata dedicata dai primi commentatori al capitolo lavoro, che pesa oltre sette miliardi e contiene l’ulteriore proroga della cassa integrazione, nonché il prolungamento del divieto di licenziamento al 31 marzo 2021. In forza di questi ampliamenti, l’Italia diviene l’unico Paese tra i principali europei ad avere impedito i licenziamenti economici per oltre un anno e con i 38 miliardi complessivi di stanziamento per le diverse forme di sostegno al reddito, nel solo 2020 ha superato per spesa in ammortizzatori quanto impiegato in tutto il decennio precedente (comprensivo della crisi finanziaria 2008-2015!).



Non sbaglia chi si concentra soprattutto su queste misure. Non soltanto perché sono le più rilevanti economicamente e socialmente, ma anche perché rappresentano bene la cifra della manovra: la difesa. Quella approvata è una Legge di bilancio conservativa, molto attenta a preservare ciò che già esiste, a non smuovere logiche e posizioni consolidate. Una legge che riproduce plasticamente le dinamiche interne alla maggioranza e il tatticismo tutto politico di questa fase storica. La strategia economica del nostro Paese sembra quella di difendere il fortino sotto assedio, nell’attesa dell’arrivo della cavalleria, ossia dei miliardi europei del Piano NextGenerationEu. 



In effetti, in tema di lavoro, non si comprende bene quali siano i contenuti espansivi. Sono stati approvati circa 26 forme diverse di esonero/fondo/credito di imposta/indennità. Tutte con dotazione bassa, incastrate tra la normativa europea degli aiuti di Stato e le necessità politiche di aiutare alcuni settori. 

Poco successo avrà la decontribuzione dei nuovi contratti a tempo indeterminato senza la crescita dell’economia (quella che si aveva nel 2015, quando funzionò esclusivamente nel periodo di vigenza) e senza la considerazione al suo interno dei contratti di apprendistato; nulla può l’esiguo Fondo per l’esonero parziale dai contributi previdenziali per lavoratori autonomi e professionisti di fronte a una normativa ancora tutta pensata attorno al lavoro subordinato; solo bandiere sono le azioni di sostegno al lavoro nel Sud d’Italia e per l’occupazione femminile. 

Difficile scorgere in questo diluvio di micro-incentivi un’idea guida sul futuro del lavoro. Si nota di più cosa manca, rispetto a cosa c’è: il riferimento è alla rinuncia all’ampliamento del welfare aziendale (uno dei pochi istituti trasversali a piccole e grandi imprese, a politiche del lavoro e fiscali) e il mancato rifinanziamento del Fondo Nuove Competenze, che sembra non interessare più allo stesso Governo che ha avuto il merito di approvarlo. Il perché queste misure manchino è un mistero, vista l’approvazione di iniziative irrilevanti, ma ben più costose.

Non resta quindi che aspettare i rinforzi, le milizie europee che porteranno nel nostro Paese i 209 miliardi del Recovery fund. Il timore è che queste nuove truppe entreranno in una cittadella oramai troppo provata dall’assedio delle circostanze avverse (d’altra parte il Covid è oramai alibi per ogni mancanza) e dall’incapacità di chi dovrebbe guidarla nel decidere. Così fosse, semplicemente si allungheranno i tempi della battaglia, si provvederà a distribuire qualche palliativo (probabilmente ancora nella forma di piccoli sussidi a tempo), ma la guerra risulterà persa e la fortezza espugnata. 

C’è ancora tempo per correggere la strategia e ritrovare quel coraggio che ha permesso a uno Stato come il nostro, cronicamente disorganizzato e appesantito da una miriade di dualismi in ambito sociale e lavoristico, di essere tra i dieci Paesi più avanzati del mondo. Servono persone e corpi intermedi che vogliano essere protagonisti di questo nuovo miracolo economico, nel “piccolo” della loro professione, attività e impresa, anche allorquando la “grande” politica remasse contro o, più drammaticamente e semplicemente, non capisse in che direzione rivolgere la barca.

@EMassagli