La storia di Renzi è scritta. Piano piano si avvia a costruire su di sé il centro che ha in mente. Una potenziale area politica che sia critica con il Pd e che abbia un dialogo con la maggioranza. Una posizione mediana che lo mette, in pratica, definitivamente fuori dal centrosinistra.

Non vede più la necessità di una dinamica bipolare per se stesso e per i suoi. La sua idea di sindaco di Italia, unita alle mire sull’eredità di Berlusconi, lo guida in questa nuova avventura. Sa che il gioco può essergli utile a rientrare quando si andrà al voto “sui nomi” e si pone come estraneo ad entrambe le aree politiche, un terzo incomodo che mira a fare, quando sarà il momento, una cavalcata alla Macron del primo mandato.



renzi 280Del resto nulla lo lega più al suo vecchio partito. Neppure la minaccia sovranista, ora che la Meloni pare in dialogo avanzato con i Popolari europei e le destre sono diventate due. Una ancora orbaniana, putiniana, anti-europea, l’altra identitaria ma atlantica, autonomista ma inserita in Europa a cui Giorgia si candida come guida.



La recente esperienza spagnola mostra che i partiti di destra perdono quando il centro è forte e identitario, che una costruzione politica come Vox non è esplosa ed i socialisti hanno perso di misura con i popolari primo partito. Ci fosse stata la legge che vuole Renzi, ora governerebbero.

Renzi, in pratica, vuole essere un antagonista naturale della Meloni quanto della Schlein, sa che ha la visibilità giusta per tentare una fuga solitaria, come quella a sindaco di Firenze di tanti anni fa, e spera di potere, così, tornare in gioco riproponendo lo schema agli elettori. L’outsider che tutto vogliono perché non vogliono gli altri.



Il fatto che Italia viva conti poco non è una notizia che interessa. Il brand vero è lui medesimo, con la sua storia e con i suoi limiti, e su quello lui  costruisce. Il che rende evidente anche la frattura con Calenda. Che dopo le mattane dei mesi scorsi è più silenzioso e attento a raccogliere una posizione mediana ma non urlata, dialogando, alla bisogna, con il Pd.

La  fragile intesa di Carlo e Matteo è destinata prima o poi a spaccarsi, visto che assieme non hanno avuto molta fortuna, e che, ormai, anche su temi non irrilevanti, come le riforme istituzionali, viaggiano su binari diversi. La cosa è un buon segnale per il Pd, Calenda con i suoi limiti resta un interlocutore meno complesso di Renzi e l’odio di Carlo per i 5 Stelle può trasformarsi in gelida alleanza alla bisogna.

Piano piano dunque il quadro appare più chiaro. Renzi per sé, come al solito, gli altri a discutere su come fare per non farsi fregare. L’unica incognita sono gli elettori, che ad oggi navigano con altri problemi nella testa e che recepiscono con il dovuto distacco questi movimenti. Che sono importanti come le micromosse dei camaleonti prima di sferrare l’attacco decisivo. Quasi invisibili ma essenziali per ghermire la preda. Perciò nei prossimi mesi la marcia di Matteo, che finge di avvicinarsi alla destra per essere accolto da quell’opinione pubblica come nome spendibile, andrà di pari passo con la silenziosa marcia di Calenda verso il Pd. Entrambi sperano di essere i nomi giusti e di trovarsi, da vecchi alleati, su fronti opposti a combattere. Sarebbe forse l’epilogo più epico e meno noioso. Loro ci stanno lavorando. Che ce ne accorgiamo o no, che se ne accorgano o no.

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