Due notizie dai circoli berlusconiani hanno agitato il pomeriggio di ieri della politica, entrambe lanciate da Dagospia. La prima è che Alessandro Sallusti ha dato le dimissioni dalla direzione del Giornale, la seconda è che Silvio Berlusconi ricoverato al San Raffaele “sta vivendo la partita più difficile”. Se accostate, le news disegnerebbero un quadro di fine impero. Di nessuna c’è stata conferma ufficiale, ma di entrambe si hanno certezze: la prima è vera, la seconda no. Sallusti lascerà il quotidiano della famiglia Berlusconi probabilmente per fare il direttore unico delle testate della famiglia Angelucci (Il Tempo e Libero), mentre il Cavaliere non si trova in condizioni gravi: per lui accertamenti e un po’ di riabilitazione.
Eppure, anche se l’addio di Sallusti non va legato a un improvviso quanto inesistente precipitare della salute di Berlusconi, tra le due notizie un legame c’è. Il Cavaliere in ospedale cerca di tornare in forze. E forse quella dagospiata sibillina per cui l’ottantaquattrenne leader “sta vivendo la partita più difficile” non si riferisce alla suprema lotta tra la vita e la morte, ma al colpo di reni verso la meta più ambiziosa mai raggiunta quanto agognata: il Quirinale. Matteo Salvini e Giorgia Meloni gli hanno detto che il suo nome sarà anche il loro. Glielo hanno fatto credere, ma c’è da credere che non sia una promessa al vento: i giovani leoni del centrodestra spenderanno la candidatura di Berlusconi quando si apriranno i giochi per la successione a Sergio Mattarella. Che poi la cosa vada in porto è tutto da vedere, intanto però il vecchio Silvio deve farsi trovare pronto, in forma e possibilmente libero da preoccupazioni giudiziarie come il processo Ruby ter che le degenze ospedaliere contribuiscono ad allontanare.
Qualunque sarà l’esito, la corsa berlusconiana per il Colle segnerà una svolta nel centrodestra ma anche negli affari della famiglia. Berlusconi presidente significherà via libera a Salvini e Meloni; Berlusconi sconfitto significherà la sua definitiva uscita di scena, soprattutto se al Quirinale dovesse salire un’altra figura di centrodestra, meno ingombrante e più “ecumenica”. Uno per esempio come Gianni Letta, che in queste settimane ha un’agenda fitta di appuntamenti e tra un libro e un dibattito non perde occasioni per incontrare gente. E se nemmeno Letta dovesse farcela, sarebbe il segno che l’epopea berlusconiana è davvero giunta al tramonto.
Nei prossimi mesi, dunque, lo scenario nella coalizione moderata è destinato a cambiare profondamente. Ed è inevitabile che comincino le fibrillazioni e i riposizionamenti non solo in sede parlamentare. È in questo contesto che si collocherebbero le dimissioni di Sallusti. La mossa va letta non solo in chiave politica, ma anche aziendale: non è un mistero che la Mondadori, cioè Marina Berlusconi, consideri il Giornale (di cui possiede poco più del 35%) come un peso finanziario non bilanciato da un’adeguata influenza editoriale e politica. Per il quotidiano fondato da Indro Montanelli si parla di ulteriori tagli imminenti che il Cavaliere non potrebbe più scongiurare come ha fatto finora. E così Sallusti avrebbe preferito cambiare aria in attesa del rimescolamento innescato dalla partenza della corsa verso il Quirinale.
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