Tre anni dopo l’archiviazione, il caso di Manuel Piredda torna sul tavolo della Procura di Cagliari e sulle cronache con un nuovo capitolo d’indagine. Una traccia di sangue sul muro mai vagliata, evidenziata nel 2017 dagli allora consulenti della famiglia, Elisabetta Sionis e Davide Sionis – la cui presenza fu confermata dal Ris in una relazione sul materiale fotografico del sopralluogo prodotta nel 2018 -, sarebbe il punto di partenza della nuova inchiesta sulla morte del giovane con fascicolo contro ignoti per omicidio volontario. Il 28enne morì nella sua casa di viale della Libertà 83 a Bacu Abis (Carbonia) dove divampò il rogo in cui rimase sfigurata l’ex moglie Valentina Pitzalis, la notte tra il 16 e il 17 aprile 2011, e secondo la conclusione dell’indagine dell’epoca, titolare il pm Paolo De Angelis, l’incendio sarebbe stato appiccato dal giovane nel tentativo di uccidere la donna per poi suicidarsi dandosi fuoco. Una ricostruzione a cui la famiglia di Manuel Piredda non ha mai creduto e che invece, secondo gli inquirenti, fu l’unica possibile dopo aver esplorato senza esito anche la pista di una terza persona sulla scena del crimine – di cui parlò anche la stampa a margine dell’accaduto, in particolare La Nuova Sardegna –, ritenuta attendibile la versione dell’unica sopravvissuta.



L’ipotesi “terzo uomo”, però, adesso si riaffaccerebbe prepotentemente tra le maglie della vicenda. Davvero c’era un’altra persona in quella casa, la notte dei fatti? Secondo quanto riportato da L’Unione Sarda, la pista sarebbe ora al vaglio della Procura di Cagliari dopo il nuovo esposto presentato dalla famiglia di Manuel Piredda (assistita dall’avvocato Patrizio Rovelli) e riaccende i riflettori sul rogo di Bacu Abis a tre anni dall’archiviazione della posizione di Valentina Pitzalis (che nel 2017 fu iscritta nel registro degli indagati per le ipotesi di omicidio e incendio doloso). L’orizzonte di un terzo soggetto sulla scena è stato rigettato con forza dalla giovane, che ai microfoni dello stesso quotidiano ha commentato la notizia dell’apertura della nuova inchiesta sulla morte di Manuel Piredda, dopo le due archiviazioni precedenti, sottolineando un aspetto: “Speravo davvero di poter provare a ricostruirmi un’esistenza, ma mi sbagliavo. L’ipotesi di una terza persona, indirettamente, mi accusa di aver mentito“.



Manuel Piredda, il caso si riapre dopo due archiviazioni: si indaga per omicidio volontario a carico di ignoti

Il fascicolo aperto recentemente a Cagliari, titolare il sostituto procuratore Gilberto Ganassi (lo stesso magistrato che chiese l’archiviazione dell’indagine a carico di Valentina Pitzalis nel 2020, definita con ordinanza firmata dal gip Maria Gabriella Muscas), è per omicidio volontario a carico di ignoti. Le attenzioni degli inquirenti, riporta L’Unione Sarda, sarebbero in parte focalizzate su una traccia ematica in una delle pareti della casa, individuata vicino al cadavere di Piredda, che non si escluderebbe appartenere a una persona non identificata. Per tentare di capirlo occorreranno accertamenti tecnici specifici, ma al momento non è dato sapere di più alla luce del fisiologico riserbo sull’attuale fase d’indagine. Nella sua ordinanza di archiviazione del 2020, in merito alle tracce individuate sul muro annerito dagli esiti del rogo e cristallizzate nelle foto della scena del crimine, così come in merito ad altri elementi tra cui un presunto “ciuffo di capelli” trattenuto dalla mano sinistra del giovane all’interno della bara, il gip Maria Gabriella Muscas respinse la richiesta di accertamenti a titolo di indagini suppletive avanzata dagli allora consulenti dei Piredda in atto di opposizione, sostenendo che le integrazioni investigative richieste fossero irrilevanti e “non utili” a “colmare le profonde e inevitabili lacune” derivanti dalla “tardività” degli accertamenti stessi (nel 2011 non fu fatta l’autopsia che, invece, fu condotta nel 2018 a seguito della riapertura del caso e della riesumazione della salma).



Tre anni fa, la richiesta di accertamenti “‘sulle strisciate nel muro’ quali si rilevano dalle fotografie” avanzata dal team di consulenti dei Piredda, in particolare sull’impronta “della mano insanguinata sulla parete sotto cui giaceva il corpo, fu respinta (secondo gli esperti incaricati dalla famiglia del 28enne, quelle tracce non potrebbero essere di Manuel per “dimensioni e lesioni incompatibili“). Sul punto, il gip scrisse che “tale accertamento investigativo deve ritenersi del tutto impraticabile; dato il mutamento dello stato dei luoghi, ciò che si sollecita, sarebbe una comparazione eseguita su fotografie, nelle quali è riportato quello che, all’epoca, i carabinieri avevano indicato come ‘traccia ematica’ e che oggi non può in alcun modo essere riscontrato; peraltro, il confronto delle mani, in considerazione del deterioramento delle mani del Piredda, ma anche della Pitzalis alla quale è stata amputata la mano sinistra e la cui mano destra risulta visibilmente deformata, sarebbe in concreto impossibile. Né la cosiddetta strisciata di sangue rilevata sul muro permette di comprendere, con un grado di ragionevole certezza, se la mano sia stata poggiata per intero, ovvero solo parzialmente ed evidentemente ciò sarebbe indispensabile per valutarne le dimensioni. Anche sotto tale profilo, pertanto, deve rilevarsi l’inutilità delle integrazioni investigative sollecitate dagli opponenti”.

Nella loro opposizione, riportò ancora il giudice per le indagini preliminari nel documento con cui chiuse il caso per la seconda volta – ribadendo che Manuel Piredda è morto nel tentativo di uccidere Valentina Pitzalis -, i consulenti della famiglia avevano anche “posto l’attenzione sul ‘ciuffo di capelli’ che, a loro giudizio, sarebbe chiaramente visibile nella mano sinistra del Piredda e hanno addirittura sollecitato un’altra esumazione del cadavere per analizzare il reperto”. Per il gip, l’accertamento richiesto sarebbe stato irrilevante e sottolineò quanto segue: “La mano sinistra del Piredda si trovava sotto il corpo ‘intrisa nei liquami presenti nel fondo della cassa’. È quindi evidente, dato il tempo trascorso e le condizioni riscontrate, che il ‘ciuffo’ rilevabile dalla fotografia non poteva essere di capelli – concluse il giudice rigettando l’istanza di esami del Dna sul materiale -, ma eventualmente tessuto, ovvero peli pubici portati in superficie sopra la mano e certo non incastrati nelle dita, dato che residuano solo le nocche”.

Manuel Piredda, cosa dice la perizia sulle cause della morte

La perizia in cui, quattro anni fa, gli esperti incaricati dal gip misero nero su bianco le risultanze dell’autopsia e degli esami correlati sul corpo di Manuel Piredda escluse un decesso avvenuto nel rogo (per i periti, Piredda si sarebbe trovato già al suolo quando fu attinto dalle fiamme, in fin di vita o già deceduto, e “si può ragionevolmente supporre che la morte sia da ascrivere ad asfissia” di genesi imprecisata): “Tali conclusioni – evidenziò il giudice nell’ordinanza di archiviazione – hanno determinato un acceso dibattito tra gli esperti. Ciò non tanto sulla causa finale della morte, e cioè l’asfissia, avendo tutti convenuto sul fatto che il Piredda non sia morto nell’incendio avvolto dalle fiamme, ma soprattutto sulla causazione dell’asfissia, se determinata da fumi, da confinamento, ovvero, come sostenuto dai consulenti dei Piredda in particolare dal prof. Fineschi (non essendo stata riscontrata alcun tipo di lesione sul corpo del Piredda), si sia trattato di asfissia meccanica provocata da un oggetto molle o avvolgente (mani, cuscino o altro similare)”.

La famiglia di Manuel Piredda non ha mai creduto alla ricostruzione emersa dalle indagini. Secondo il professor Vittorio Fineschi, medico legale che prese parte agli accertamenti dopo l’esumazione del corpo in qualità di consulente dei genitori del ragazzo, “dati oggettivi” emersi in sede di analisi “mostrano che Manuel, con ogni probabilità, è morto prima che il fuoco fosse appiccato e, con ogni probabilità, è morto di un’asfissia non legata all’incendio”. In sede di incidente probatorio, nel 2018, il collegio dei periti incaricati dal gip evidenziò quanto segue circa le cause del decesso del 28enne: “L’insieme di tutti i dati desumibili dall’esame necroscopico e dalle diverse indagini tecnico-scientifiche esperite permette di trarre le seguenti conclusioni, in termini di esclusione di causa di morte: sul corpo di Manuel Piredda non sono state rilevate lesioni rapportabili ad azioni violente di natura meccanica; la morte di Manuel Piredda non è da addebitare ad intossicazione acuta da sostanze psicotrope o stupefacenti;la morte di Manuel Piredda non è da addebitare ad intossicazione da monossido di carbonio o da cianuri né all’azione delle fiamme sviluppatesi nell’incendio; sul corpo di Manuel Piredda non sono stati rilevati elementi tali da rendere ragione di una causa primitiva di morte patologica intrinseca. (…) Si può ragionevolmente supporre che la morte del Piredda sia da ascrivere ad asfissia“. Cosa l’abbia determinata non è mai stato chiarito.