MANUELA SICILIANO E IL FEMMINICIDIO DELLA SORELLA
“Mia sorella chiedeva aiuto e non veniva ascoltata“. Così Manuela Siciliano parlò della morte di sua sorella Rosanna Lisa Siciliano, uccisa dal marito carabiniere Rinaldo D’Alba con la pistola d’ordinanza. Tornerà a farlo a Delitti in famiglia, che oggi accende i riflettori sugli orfani di femminicidio. Come le nipoti, di cui si occupa da quando la sorella è stata uccisa (all’epoca avevano 12 e 5 anni) e che ha adottato.
La donna per qualche tempo è stata protagonista di una battaglia con lo Stato, perché qualche mese dopo il delitto aveva presentato un esposto chiedendo un’indagine per chiarire se vi fossero responsabilità nell’omicidio della sorella, visto che la stessa aveva denunciato il marito e che i superiori del carabiniere sapevano della loro situazione, ma non avrebbero fatto nulla.
Peraltro, anche se erano separati, Rosanna Lisa Siciliano continuava a vivere negli alloggi della caserma Falde, “perché proprio lì si sentiva al sicuro“, ma in realtà non lo era. Alla fine, il gip di Palermo ha accolto la richiesta della procura, archiviando l’indagine sulle possibili omissioni dei superiori dell’appuntato.
LE BATTAGLIE DI MANUELA SICILIANO PER AVERE GIUSTIZIA
La famiglia di Rosanna Lisa Siciliano rilevò che i carabinieri avrebbero ignorato i problemi psicologici dell’appuntato, nonostante li avesse manifestati con diversi atti di violenza contro la moglie, e continuato a mantenerlo in servizio senza prendere provvedimenti, permettendogli di tenere la pistola d’ordinanza. Il militare dell’Arma, comunque, era stato spostato in un alloggio per scapoli dal comandante della stazione dopo che la vittima aveva riferito delle violenze. L’esposto è stato archiviato, mentre due anni fa è stato negato il risarcimento alle figlie per sopravvenuta prescrizione.
“Vogliamo sapere se lo Stato ha fatto tutto ciò che poteva o ha nascosto la polvere della vergogna sotto il tappeto?“, si è chiesta Manuela Siciliano, che è arrivata a chiedere aiuto anche al governo Meloni. Come riportato dal Fatto Quotidiano, la famiglia è in possesso di messaggi e vocali inviati a partire da un anno prima della tragedia ai caporali del carabiniere e al giudice che doveva decidere sulla separazione, pratica che era stata avviata ma non conclusa. Manuela Siciliano parlò di uno “straziante audio dove chiedeva aiuto“, ma “nessuno le ha risposto e nessuno continua a rispondere“.